Tornare a scorrere (fuori tema n. 24)

scorrere

Di solito si è spugna senza sapere di esserlo.
Scoprire di essere stati spugna per buona parte della propria vita è doloroso perché la consapevolezza dà vita a uno stravolgimento profondo.

Ma si tratta di guarire e tornare a scorrere.

***

Sono stata spugna.
Per molti anni, quasi tutta la giovinezza, appena incontravo qualcuno, ero spugna.
L’avevo imparato nell’infanzia. Stai lì e assorbi tutto.
Non so come, ma quando si incontra una spugna, gli altri si sentono invitati a parlare moltissimo. Quando poi se ne andavano, ero stanchissima e opaca, completamente
senza riflesso. Certe volte andavo a dormire raggomitolata sotto il piumino e quando provavano a svegliarmi mi lamentavo e mi ci avvolgevo ancora più stretta, come in un bozzolo. Quando una volta finalmente mi chiesero: «Ma cos’hai? Sei malata?» Risposi
solo: «Ho visto gente». E allora compresi che era ora di finirla.
Per un po’ mi chiusi a riccio: non volevo più vedere nessuno.
Poi, dopo anni di India, di tecniche di meditazione e di approdo a comprendere che stare con il respiro non è una tecnica ma una storia d’amore, mi sono tramutata, piano piano, con lenta costruzione, in fontana.
Posso ancora ascoltare, ma solo finché c’è acqua che scorre e la fontana non trabocca. Ma soprattutto, la fontana è lì a disposizione, chi vuole ci va a bere e lei non assorbe niente, scorre. Il cuore non è spugna, è fontana.

Chandra Livia Candiani, da Questo immenso non sapere, Einaudi

°ascoltando Ludovico Einaudi- Waterwayshttps://www.youtube.com/watch?v=f01DFAfNKXI

 

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Passaggi (quasi) obbligati

(Ahi!)

Il più delle volte
non serve sprangare le porte
bruciare ogni fuso
vietarne il possesso, proibire l’uso
ci sarà sempre una porticina aperta, una vecchina che fila
una scoperta
qualcosa che non sai neppure cos’è
uno sbaglio fatto apposta per te.
Non sempre, ma a volte
occorre pungersi
sanguinare un poco
dormire tutto il sonno
che viene dopo
sorbirlo come una medicina
per svegliarti diversa
da com’eri prima.

Silvia Vecchini, da In mezzo alla Fiaba, Topipittori, 2015

♣ ascoltando REM – Everybody hurts – https://www.youtube.com/watch?v=S2N_uvnvGbI

 

Sai nuvolare?

nuvoleeeRipropongo una mia poesia “nuvolosa” ringraziando di cuore Antonio Stangherlin e Catia Carlon che hanno realizzato questo delicatissimo video:

(chitarra e video di Antonio Stangherlin, voce di Catia Carlon,  musica di J.M.Zenamon: SOÑANDO –Dreaming–  testo di Irene Marchi)

Fatti nuvola

Il tempo t’insegnerà
a essere nuvola:
cambierai forma nel vento
senza aspettareil tramonto
per sentirti colore.

Fatti nuvola
per sfiorare gli alberi
per vedere meglio ogni cosa
per sorridere nel buio

e fatti nuvola – se vuoi –
anche per piangere.

Irene Marchi, da L’uso delle parole e delle nuvole, Cicorivolta Edizioni, 2020

 

Crisi d’identità (work in progress)

k

“(…) Adesso siamo chi non eravamo”… e domani quelli che oggi ancora non siamo?  Ma che cosa sarà meglio: chi eravamo, chi siamo o chi saremo? Probabilmente meglio (in questo caso) è una parola senza senso: puoi forse dire quale sia l’immagine migliore in un caleidoscopio?

Le dita sulla tastiera del computer schioccano
– solo più leggermente –
come un tempo la macchina per scrivere.
Era bello quel nome: macchina, ancora meglio
quando senza la c ritorna machina.
Impalcatura per un dio o un assedio,
ariete per abbattere le mura.
Rimandava a un arto di ferro, un ordigno
e un artiglio che ubbidiva al cervello.
Eppure non ha senso
rimpiangere il passato,
provare nostalgia per quello che
crediamo di essere stati.
Ogni sette anni si rinnovano le cellule:
adesso siamo chi non eravamo.
Anche vivendo – lo dimentichiamo –
restiamo in carica per poco.

Antonella Anedda, da Historiae, Einaudi, Torino, 2018

Che cosa cambieresti?

sbagliata

“Che cosa cambieresti di quello che sei?“
A questa domanda molti potrebbero rispondere nulla, molti invece tutto.
Poi c’è chi cammina incerto  tra il tutto e il nulla (e forse è quello che sta peggio).

Come nuova

Voglio andarmene dalla  mia mano,
dai miei due occhi che mi guardano allo specchio.
Dalla gamba destra,
dalla gamba sinistra,
da tutto il resto.
Categoricamente esigo
di essere altrove.
Estaticamente esigo di essere diversa.
Voglio rifarmi nuova,
da sola rifarmi nuova.
Vivere non devo,
ma rifarmi da sola come nuova,
sì.

Anna Świrszczyńska (1909, Varsavia – 1984, Cracovia), in “Poesia”, n. 344, gennaio 2019, Crocetti Editore, traduzione di Giorgio Origlia

* ascoltando  Edoardo Bennato – Un Giorno Credi https://www.youtube.com/watch?v=KHW5lhtkM9U

Chi tira la tovaglia?

tovaglia

Tornare bambini e buttare tutto all’aria? Che sensazione liberatoria, anche solo a immaginarsela. Ma ora, ora che siamo “grandi”, riusciamo a vedere l’angolo della tovaglia che potremmo tirare? O della tavola apparecchiata notiamo solo la disposizione di piatti e posate…  e che sia tutto bene in ordine?

Una bimbetta tira la tovaglia

È da più d’un anno che si è al mondo,
e a questo mondo non tutto è stato studiato
e messo sotto controllo.

Ora sono sotto esame le cose
che non possono muoversi da sole.

Bisogna aiutarle a farlo,
spostare, spingere,
prenderle da dove sono e trasportarle.

Non tutte lo vogliono, ad esempio l’armadio,
la credenza, le inflessibili pareti, il tavolo.

Ma la tovaglia sul tavolo ostinato
– se afferrata bene per gli orli –
manifesta già la volontà di viaggiare.

E sulla tovaglia i bicchieri, i piattini,
la brocchetta con il latte, i cucchiaini, la scodella
addirittura tremano per la voglia.

È interessante,
quale movimento sceglieranno
quando ormai vacilleranno sul bordo:
un viaggio lungo il soffitto?
un volo intorno alla lampada?
un salto sul davanzale e di lì all’albero?

Il signor Newton non ha ancora nulla a che fare con questo.
Guardi pure dal cielo e agiti le braccia.

Questo esperimento deve essere fatto.
E lo sarà.

Wislawa Szymborska, in Attimo (2002), da Opere, traduzione di Pietro Marchesani, Adelphi, 2008.

*ascoltando The Who – Smash The Mirror e The Beatles – Strawberry Fields Forever, (in ordine sparso).