Meglio tardi…

Rupi Kaur, da Milk and honey, parole d’amore, di dolore, di perdita e di rinascita, traduzione di Alesandro Storti

Tratta da Rupi Kaur,  Milk and honey, parole d’amore, di dolore, di perdita e di rinascita, traduzione di Alessandro Storti

Comunque si dice sia meglio tardi che mai. Sarà vero?

A volte
le scuse
non arrivano
quando sono desiderate
 
e quando arrivano
non sono desiderate
né necessarie
 
sei troppo in ritardo

Rupi Kaur,  da Milk and honey, parole d’amore, di dolore, di perdita e di rinascita, traduzione di Alessandro Storti

 

*ascoltandoThe Decemberists – Apology Song https://www.youtube.com/watch?v=NQ-xwOlWgco

(Ancora sul chiedere scusa: https://lapoesianonsimangia.myblog.it/2016/04/03/chiedere-scusa/)

(Chiedere) scusa

 scusa

Quando sentiamo di dover chiedere scusa a qualcuno,  dovremmo a tutti i costi assecondare questo bisogno. Questa sensazione infatti non lascia scampo: il più delle volte si insinua, con il fastidio pungente di un sasso nella scarpa, mentre stiamo parlando d’altro, mentre facciamo la spesa o stiamo leggendo un libro. E… bam! ci si para davanti quest’idea, all’improvviso chiarissima, di avere in qualche modo sbagliato (anche se inconsapevolmente e senza volontà di  ferire, e magari tanto tempo prima). Ma c’è, e urla e ci rincorre finché non riusciamo a chiedere scusa, appunto.  Certo, comportarci in modo tale da non doverci mai scusare sarebbe la cosa più giusta, ma siamo umani…

(E poi? Scuse accettate? Scuse non accettate? Scuse accettate per finta? Questo è un altro discorso…)

 

Sotto una piccola stella

Chiedo scusa al caso se lo chiamo necessità.
Chiedo scusa alla necessità se tuttavia mi sbaglio.
Non si arrabbi la felicità se la prendo per mia.
Mi perdonino i morti se ardono appena nella mia memoria.
Chiedo scusa al tempo per tutto il mondo che mi sfugge a ogni istante.
Chiedo scusa al vecchio amore se do la precedenza al nuovo.
Perdonatemi, guerre lontane, se porto fiori a casa.
Perdonatemi, ferite aperte, se mi pungo un dito.
Chiedo scusa a chi grida dagli abissi per il disco col minuetto.
Chiedo scusa alla gente nelle stazioni se dormo alle cinque del mattino.
Perdonami, speranza braccata, se a volte rido.
Perdonatemi, deserti, se non corro con un cucchiaio d’acqua.
E tu, falcone, da anni lo stesso, nella stessa gabbia,
immobile con lo sguardo fisso sempre nello stesso punto,
assolvimi, anche se tu fossi un uccello impagliato.
Chiedo scusa all’albero abbattuto per le quattro gambe del tavolo.
Chiedo scusa alle grandi domande per le piccole risposte.
Verità, non prestarmi troppa attenzione.
Serietà, sii magnanima con me.
Sopporta, mistero dell’esistenza, se strappo via fili dal tuo strascico.
Non accusarmi, anima, se ti possiedo di rado.
Chiedo scusa al tutto se non posso essere ovunque.
Chiedo scusa a tutti se non so essere ognuno e ognuna.
So che finché vivo niente mi giustifica,
perché io stessa mi sono d’ostacolo.
Non avermene, lingua, se prendo in prestito parole patetiche,
e poi fatico per farle sembrare leggere.

Wislawa Szymborska, da  Ogni caso (1972), in La gioia di scrivere – Tutte le poesie (1945-2009), Adelphi,  traduzione di Pietro Marchesani.

 

* Io ascolterei: Tom Waits – Take Me Home; Tracy Chapman – Baby Can I Hold You? John Lennon – Jealous Guy, Elton John – Sorry Seems to Be the Hardest Word.