Caspita…

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Niente da fare… i poeti resistono!

I poeti resistono

I poeti resistono.
È dura sbarazzarsi di loro,
solo dio sa quanto ci abbiamo provato.
Li oltrepassiamo in strada
lì con il loro piattino per l’elemosina,
un’antica usanza.
Ora non c’è nulla dentro
a parte mosche secche e monetine false.
Guardano fissi avanti.
Sono morti, o cosa?
Hanno l’aspetto irritante
di chi ne sa più di noi.
Di più riguardo a cosa?
Che cosa credono di sapere?
Sputatelo fuori, gli sibiliamo.
Ditelo chiaramente!
Se cerchiamo una semplice risposta,
ecco si fingono pazzi,
o ubriachi, o poveri.
Hanno indossato quei costumi
tempo fa,
quei maglioni neri, quegli stracci;
ora non riescono a toglierli.
E hanno problemi con i denti.
Questo è uno dei loro fardelli.
Dovrebbero farsi un trattamento.
Hanno anche problemi con le ali.
Non otteniamo granché da loro
in questi giorni al dipartimento di volo.
Non più impennate, sfolgorii
né chiasso.
Per cosa diavolo vengono pagati?
(Supponendo che vengano pagati.)
Non riescono a staccarsi da terra,
loro e le loro piume infangate.
Se volano, è verso il basso,
nella terra umida grigia.
Andatevene, diciamo
e portatevi la vostra noiosa tristezza.
Non siete graditi qui.
Avete dimenticato come dirci
quanto siamo sublimi.
Come l’amore sia la risposta:
quella ci è sempre piaciuta.
Avete dimenticato come adulare.
Non siete più saggi.
Avete perso il vostro splendore.
Ma i poeti resistono.
Non sono altro che tenaci.
Non riescono a cantare, non riescono a volare.
Solo saltellano e gracchiano
e sbattono contro l’aria
come se fossero in gabbia,
e raccontano la solita vecchia storia.
Quando interrogati, rispondono
che parlano di quello che devono.
Caspita, se sono pretenziosi.
Loro sanno qualcosa, comunque.
Lo sanno.
Qualcosa che sussurrano,
qualcosa che non riusciamo a sentire del tutto.
Riguarda il sesso?
Riguarda la polvere?
La paura?

Margaret Atwood (Ottawa, 1939), da The door, Virago Press, 2009, traduzione di Eleonora Rao

Un po’ fuori (o forse no) da tutto

scrivereperchèedadove

Due intense riflessioni (tratte dal libro di Franco Arminio, Cedi la strada agli alberi, 2016, Chiarelettere) sulla poesia e  su chi la scrive (due soggetti un po’ scomodi e generalmente poco appetibili, secondo gli standard dell’oggigiorno).

L’embargo della poesia

Il poeta è quella creatura che non può stare in questo mondo ed è la persona che più ha bisogno delle cose del mondo. La sua è una bulimia spirituale e, proprio perché è spirituale, non conosce limiti e confini.

È molto grave che il mondo abbia dichiarato un vero e proprio embargo verso i poeti. Il mondo dei disperati che vogliono distrarsi odia i disperati che invece cantano la loro disperazione. Fra le tante guerre in corso, strisciante e non dichiarata, c’è quella che vede i poeti come vittime.

Ogni giorno una cenere sottile cade, attimo dopo attimo, sulle spalle degli spiriti più luccicanti. Lo scopo è opacizzare tutto, rendere tutto intercambiabile, omologabile, smerciabile.

Questa è una società totalitaria e come tale non può che essere ferocemente ostile al grido solitario del poeta, alla sua natura irrevocabilmente intangibile. Il poeta è fuori dall’umano e come tale è un pericolo. Gli uomini non possono tollerare che esistano creature che hanno gli occhi, il cuore e le parole, ma che nulla hanno da spartire con loro.

Poesia è malattia

Poesia è malattia, diceva Kafka. Il poeta che manda in giro le sue poesie manda in giro i suoi virus, le sue fratture, i suoi tessuti infiammati. Il poeta anela alla cura, o almeno alla consolazione, ma dall’altra parte si pensa a difendersi dal contagio.

La poesia dice sempre del tentativo di riparare un lutto e, quando viene spedita, fa un po’ l’effetto di un afflitto che va in giro a chiedere le condoglianze. E questo movimento rende dubbio il lutto stesso, come se ci trovassimo davanti a qualcuno che volesse venderci le azioni del suo dolore, azioni destinate inevitabilmente al ribasso in una società in cui tutti piangono e dove i morti senza lutto si confondono con i lutti senza morto.

Il poeta è alla guida di un’impresa fallimentare perché ogni suo prodotto resta invenduto e la ragione dell’impresa consiste esattamente in questo. Anche se il prodotto risultasse smerciabile, al poeta non può venirgli nulla, non ci sono rendite, bisogna subito ricominciare da capo. La poesia è radicalmente anticapitalista, non prevede nessuna forma di accumulazione. Un dolore antico è sempre un dolore fresco di giornata.

Franco Arminio, Cedi la strada agli alberi – Poesie d’amore e di terra, 2016, Chiarelettere

*ascoltando Rachmaninov piano concerto no 3 Mvt 1. Soloist: David Helfgott
https://www.youtube.com/watch?v=2tRZ4ZLZ31Ehttps://www.youtube.com/watch?v=VffzZXniMsg