Dalla finestra

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Ti sei accort* di qualcosa che non avevi mai notato prima, oggi,
guardando dalla finestra?

***

Le finestre

Non so se era l’alba
o la sera
forse mezzanotte
non so. 
Tutte le finestre della mia vita
sono rientrate alla mia stanza
con tendine e senza tendine
mi piacciono le tendine di cotone
ma ce n’erano anche di tulle
 e stoini neri
li tiravo e li lasciavo
e li tiravo di nuovo
qualcuno non è più sceso
qualcuno non è più salito
e finestre con i vetri rotti
mi son ferito a una mano
e qualcuna senza vetri.
Le finestre senza vetri mi commuovono
come gli occhiali senza lenti.

Le finestre.
La pioggia faceva colare sui vetri
i suoi capelli rossigni, lunghi e tristi.
Con la sigaretta incollata al labbro
io dentro di me canticchiavo.
Mi piace la voce della pioggia
più che la mia.

Le finestre.
Al quinto piano nel vuoto assolato che le circonda
un mare
un mare in pietra blu da anello.
L’ho messo dolcemente al mignolo
e l’ho baciato tre volte piangendo
e tre volte l’ho portato alla fronte.

Le finestre.
Son sceso dal letto avvolto in coperte dai lunghi peli.
Ho messo il mio naso di fanciullo sul vetro appannato.
La stanza era calda 
 e c’era l’odore di mia madre giovane.
Fuori nevicava
e io avevo il morbillo.

Le finestre.
Non so se era l’alba
forse mezzanotte
non so.
Le stelle erano nella mia stanza
e come le farfalle di notte
battevano sui vetri.
Attento a non toccarle
vi ho aperto, finestre,
e ho lasciato andare le stelle alla notte
alla notte chiara senza confini e libera
dove passavano le lune artificiali.

Le finestre.
I lupi sono sotto la luna 
malati di fame
i lupi sono davanti alla mia finestra.
Anche se chiudo le tende pesante di velluto
so che i lupi sono là
e mi guardano.

Le finestre.
All’alba mi allontano sulla strada deserta.
Le finestre mi guardano alle spalle.
Soltanto esse sanno che non ritornerò la sera.

Le finestre.
Sono caduto da una finestra guardando una bella.
La gente ride di me.
La bella non si è neanche voltata per guardarmi.
Forse non se n’era nemmeno accorta.

Le finestre.
Le finestre.
Le finestre di quaranta case
son rientrate alla mia stanza.
Mi sono seduto su una di esse
e ho dondolato i piedi alle nuvole.
potevo dire
forse io sono felice.

 1958

Nazim Hikmet (Salonicco, 1902-1963), da Poesie, traduzione di Joyce Lussu e Velso Mucci, Grandi Tascabili Economici Newton 2002

°ascoltando  Leonard Cohen – The Windowhttps://www.youtube.com/watch?v=FQ8ThThoI14

Seriamente

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Qual è la tua idea del “vivere seriamente”?

Vivere seriamente

La vita non è uno scherzo.
Prendila sul serio
come fa lo scoiattolo, ad esempio,
senza aspettarti nulla
dal di fuori o nell’al di là.
Non avrai altro da fare che vivere.

La vita non é uno scherzo.
Prendila sul serio
ma sul serio a tal punto
che messo contro un muro, ad esempio, le mani legate,
o dentro un laboratorio
col camice bianco e grandi occhiali,
tu muoia affinché vivano gli uomini
gli uomini di cui non conoscerai la faccia,
e morrai sapendo
che nulla é più bello, più vero della vita.

Prendila sul serio
ma sul serio a tal punto
che a settant’anni, ad esempio, pianterai degli ulivi
non perché restino ai tuoi figli
ma perché non crederai alla morte
pur temendola,
e la vita peserà di più sulla bilancia.

Nazim Hikmet (Salonicco, 1902-1963), testo presente in Tradurre poesia, di Joyce Lussu, Robin Editore, 1998, p.35

∞ ascoltando Bert Jansch – Osprey https://www.youtube.com/watch?v=FZjJmzKLTvg

M di mare

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Fratello mare

Ed ecco ce ne andiamo come siamo venuti
arrivederci fratello mare
mi porto un po’ della tua ghiaia
un po’ del tuo sale azzurro
un po’ della tua infinità
e un pochino della tua luce
e della tua infelicità.
Ci hai saputo dir molte cose
sul tuo destino di mare
eccoci con un po’ più di speranza
eccoci con un po’ più di saggezza
e ce ne andiamo come siamo venuti,
arrivederci fratello mare.

Varna, 1951

Nazim Hikmet (Salonicco, 1902-1963), da Poesie d’amore, Mondadori

°°°

Il mare

Mare amico, nido dei venti;
eterno tumulto di fuoco e di schiuma
rabbiosa, guizzante, balenante
come fulmine sulla terra,
sulla tua spiaggia attendo l’alba
prigioniero della tua voce di tempesta:
porto nel mio cuore il tuo canto selvaggio
e il tuo perenne invito verso i cieli.

 Georgi Sejtanov (Bulgaria, 1896-1925), in AA.VV., Ventuno 21 poeti bulgari fucilati, traduzione di Leonardo Pampuri, 1960

*ascoltando The Waterboys – This Is The Sea https://www.youtube.com/watch?v=VAiOjxkCS0g

(per altre lettere dell’alfabeto, qui: https://lapoesianonsimangia.myblog.it/category/alfabeto/)

Nell’abbraccio

 Gustav Klimt, Busto di una coppia, 1908, Historisches Museum, Vienna

Gustav Klimt, Busto di una coppia, 1908

 

Anima mia
chiudi gli occhi
piano piano
e come s’affonda nell’acqua
immergiti nel sonno
nuda e vestita di bianco
il più bello dei sogni
ti accoglierà
 
anima mia
chiudi gli occhi
piano piano
abbandonati come nell’arco delle mie braccia
nel tuo sonno non dimenticarmi
chiudi gli occhi pian piano
i tuoi occhi marroni
dove brucia una fiamma verde
anima mia.

Nazim Hikmet (Salonicco, 1902 – 1963), da Poesie d’amore, traduzione di J. Lussu

*ascoltando Anoushka Shankar – Prayer In Passing https://www.youtube.com/watch?v=AOSowP2p7vo

 

Evasioni

Quando ti senti soffocare e hai la sensazione di essere in una prigione,
che cosa riesce a liberare il tuo pensiero?

Benvenuta, donna mia, benvenuta!

certo sei stanca
come potrò lavarti i piedi
non ho acqua di rose né catino d’argento

certo avrai sete
non ho una bevanda fresca da offrirti

certo avrai fame
e io non posso apparecchiare
una tavola con lino candido

la mia stanza è povera e prigioniera
come il nostro paese.

Benvenuta, donna mia, benvenuta!

hai posato il piede nella mia cella
e il cemento è divenuto prato
hai riso
e rose hanno fiorito le sbarre

hai pianto
e le perle sono rotolate sulle mie palme

ricca come il mio cuore
cara come la libertà
è adesso questa prigione.

Benvenuta, donna mia, benvenuta!

Nazim Hikmet (Salonicco, 1902– Mosca, 1963),
da Poesie d’amore, Mondadori, 2002, traduzione di J. Lussu, V. Mucci

*ascoltando Iggy Pop – Free https://www.youtube.com/watch?v=IcJx_oLbWqo

B di Bugie

bugie

Bugie innocenti, bugie per difendere, bugie che aiutano, bugie che “dispongono un mondo che non è di questo mondo” come scrive la poetessa polacca in La mappa (qui sotto). Comunque bugie. Facciamo un gioco: ognuno pensa alla sua ultima bugia.

La mappa

Piatta come il tavolo
sul quale è posata.
Sotto – nulla si muove,
né cerca uno sbocco.
Sopra – il mio fiato umano
non crea vortici d’aria
e lascia tranquilla
la sua intera superficie.

Bassopiani e vallate sono sempre verdi,
altopiani e montagne sono gialli e marrone,
oceani e mari – di un azzurro amico
sui margini sdruciti.

Qui tutto è piccolo, vicino, alla portata.
Con la punta dell’unghia posso schiacciare i vulcani,
accarezzare i poli senza guanti grossi,
posso con un’occhiata
abbracciare ogni deserto
insieme al fiume che sta lì accanto.

Segnalano le selve alcuni alberelli
tra i quali è ben difficile smarrirsi.

A est e ovest, sopra e sotto
l’equatore, un assoluto
silenzio sparso come semi,
ma in ogni seme nero
la gente vive.
Forse comuni e improvvise rovine
sono assenti in questo quadro.

I confini si intravedono appena,
quasi esitanti – esserci o non esserci?

Amo le mappe perché dicono bugie.
Perché sbarrano il passo a verità aggressive.
Perché con indulgenza e buon umore
sul tavolo mi dispongono un mondo
che non è di questo mondo.

Wislava Szymborska, da Basta così,  Adelphi Edizioni, traduzione di Silvano De Fanti, 2012.

 °°°

Ciò che ho scritto di noi è tutta una bugia
è la mia nostalgia
cresciuta sul ramo inaccessibile
è la mia sete
tirata su dal pozzo dei miei sogni
è il disegno
tracciato su un raggio di sole
ciò che ho scritto di noi è tutta verità
è la tua grazia
cesta colma di frutti rovesciata sull’erba
è la tua assenza
quando divento l’ultima luce all’ultimo angolo della via
è la mia gelosia
quando corro di notte fra i treni con gli occhi bendati
è la mia felicità
fiume soleggiato che irrompe sulle dighe
ciò che ho scritto di noi è tutta una bugia
ciò che ho scritto di noi è tutta verità.

Nazim Hikmet, da In esilio

* Qualche bugia in musica:  Iron Maiden – No more lies https://www.youtube.com/watch?v=sd0tHF3LyB0; Fleetwood Mac – Little Lies https://www.youtube.com/watch?v=Xr9Oubxw1gA.

(Per altre lettere dell’alfabeto… qui: https://lapoesianonsimangia.myblog.it/category/alfabeto/)

Parole comunque libere

la prigione

Poesie (struggenti) scritte da una prigione. Le parole  e i pensieri non si fermano dietro alle sbarre. Qualunque prigione ci rinchiuda, non può impedire al nostro pensiero di evadere.

Ditemi com’è un albero

Ditemi com’è un albero.
Ditemi il canto del fiume
quando si copre di uccelli.

Parlatemi del mare. Parlatemi
del vasto odore della campagna.
Delle stelle. Dell’aria.

Recitatemi un orizzonte
senza serratura né chiavi
come la capanna di un povero.

Ditemi com’è il bacio
di una donna. Datemi il nome
dell’amore: non lo ricordo.

Le notti si profumano ancora
di innamorati con fremiti
di passione sotto la luna?

O resta solo questa fossa,
la luce di una serratura
e la canzone delle mie lapidi?

Ventidue anni… Già dimentico
la dimensione delle cose,
il loro colore, il loro profumo…. Scrivo

a tentoni: “il mare”, “la campagna”…
Dico “bosco” e ho perduto
la geometria dell’albero.

Parlo, per parlare, di argomenti
che gli anni mi hanno cancellato.

(non posso continuare, sento
i passi della guardia)

Fernando Macarro Castillo (Marcos Ana), da Ditemi com’è un albero, traduzione di Chiara De Luca

 

Ti ho sognata
mi sei apparsa sopra i rami
passando vicino alla luna
tra una nuvola e l’altra
andavi, e io ti seguivo
ti fermavi e io mi fermavo
mi fermavo, e tu ti fermavi
mi guardavi e io ti guardavo
ti guardavo e tu mi guardavi
poi tutto è finito.

1947
Nazim Hikmet, da  Lettere dal carcere a Munevvér, prigione di Bursa, Anatolia

*ascoltando  Lucio Dalla – La casa in riva al mare
https://www.youtube.com/watch?v=LIcQUtKYbnw

Due passi tra le foglie

fogliecadute

Uno dei piaceri della vita: camminare affondando le scarpe tre le foglie cadute,  ammucchiate ai lati di un viale (perché a guardare bene non ci sono solo le auto parcheggiate!), e ascoltare la voce  (sincera) di quel mucchio frusciante sotto i piedi. Il tempo dell’estate è finito, e anche molto altro, ma questi passi sulle foglie sono una vera consolazione (nonostante la loro malinconia). Che dici, andiamo?

Foglie morte

Veder cadere le foglie mi lacera dentro
soprattutto le foglie dei viali
soprattutto se sono ippocastani
soprattutto se passano dei bimbi
soprattutto se il cielo è sereno
soprattutto se ho avuto, quel giorno, una buona notizia
soprattutto se il cuore, quel giorno, non mi fa male
soprattutto se credo, quel giorno, che quella che amo mi ami
soprattutto se quel giorno mi sento d’accordo con gli uomini e con me stesso
veder cadere le foglie mi lacera dentro
soprattutto le foglie dei viali dei viali d’ippocastani.

Lipsia, settembre 1961

Nazim Hikmet, traduzione di Joyce Lussu

 

Autunno malato

Autunno malato e adorato
Morirai quando l’uragano soffierà sui roseti
Quando avrà nevicato
Sui frutteti

Povero autunno
Muori in biancore e ricchezza
Di neve e di frutti maturi
In fondo al cielo
Planano sparvieri
Sulle nixi graziose dai capelli verdi e nane
Che non hanno mai amato

Sui confini lontani
I cervi hanno bramito

E quanto amo stagione quanto amo i tuoi suoni
I frutti che cadono e che nessuno raccoglie
Il vento e la foresta che piangono
Tutte le loro lacrime d’autunno foglia a foglia
Le foglie
Pestate
Un treno
Che passa
La vita
Che va.

Guillaume Apollinaire, da Alcools, 1913.

* con poca originalità ascolterei Autumn Leaves (ne ho parlato qui http://lapoesianonsimangia.myblog.it/2016/06/23/note-poesia/), ancora e ancora in tutte le sue infinite versioni.

6 e 9 agosto 1945

“La bomba di Hiroshima
bruciò troncando le ultime parole.
L’ossa calcinate
riverberano il cielo senza fiato.
L’erba per sempre ha il verde rovesciato,
l’albero ha il suo tronco congelato
per sempre, la natura scompare
per sempre, nell’orrore dell’uomo
dentro un fuoco di morte (…)”.

Roberto Roversi, da La bomba di Hiroshima, da Dopo Campoformio, 1965.

ricordiamo

6  e  9 agosto 1945 –  Bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki.

Non dimentichiamo.

La bambina di Hiroshima

Apritemi sono io…
busso alla porta di tutte le scale
ma nessuno mi vede
perché i bambini morti nessuno riesce a vederli.

 
Sono di Hiroshima e là sono morta
tanti anni fa. Tanti anni passeranno.
Ne avevo sette allora: anche adesso ne ho sette
perché i bambini morti non diventano mai grandi.

 
Avevo dei lucidi capelli, il fuoco li ha strinati,
avevo dei begli occhi limpidi, il fuoco li ha fatti di vetro.
Un pugno di cenere, quella sono io,
poi anche il vento ha disperso la cenere.

 
Apritemi; vi prego non per me
perché a me non occorre né il pane né il riso:
non chiedo neanche lo zucchero, io:
a un bambino bruciato come una foglia secca non serve.

 
Per piacere mettete una firma,
per favore, uomini di tutta la terra…
Firmate, vi prego, perché il fuoco non bruci i bambini
e possano sempre mangiare lo zucchero.

Nazim Hikmet, da Poesie, traduzione di I. Ambrogio, Editori Riuniti, Milano, 1960

John Coltrane – Peace on Earth; I Nomadi – Il pilota di HiroshimaUtopia – Hiroshima.

Anima e corpo

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Quando la poesia nasce da un sentimento profondamente passionale e da un’intensità sia spirituale che fisica.

Bianca ape…

Bianca ape, ebbra di miele, ronzi nella mia anima
E ti avvolgi in spirali lentissime di fumo.

Io sono il disperato, la parola senz’ eco,
quegli che ha perso tutto, dopo aver tutto avuto.

Sei la fune in cui cigola la mia ultima brama.
Nel mio deserto vivi come l’ultima rosa.

Ah silenziosa!

Chiudi gli occhi profondi dove aleggia la notte,
E denuda il tuo corpo di statua timorosa.

Possiedi occhi profondi dove vola la notte,
fresche braccia di fiori ed un grembo di rosa.

I tuoi seni assomigliano alle conchiglie bianche.
E sul tuo ventre dorme una farfalla d’ombra.

Ah silenziosa!

Con me è la solitudine da cui tu sei lontana.
Piove. Il vento del mare caccia erranti gabbiani.

L’acqua cammina scalza per le strade bagnate.
Le foglie di quell’albero gemono come infermi.

Bianca ape assente, ancora ronzi nella mia anima.
Risusciti nel tempo, sottile e silenziosa.

Ah silenziosa!

Pablo Neruda, da Venti poesie d’amore e una canzone disperata, traduzione di Roberto Paoli, 1924.

 

Nel gran caldo

Nel gran caldo ti penso
te nuda
il tuo collo i tuoi polsi
il tuo candido piede è una piuma d’uccello posata sul letto
le parole che tu dici a me.

Nel gran caldo ti penso
non so più di che cosa di più mi ricordo
e che cosa di più sotto gli occhi mi scorre
il tuo collo i tuoi polsi il tuo piede
le parole che tu dici a me che sei mia?

Nel gran caldo rovente ti penso
nel gran caldo rovente una stanza d’albergo ti penso
di me solo mi spoglio
di quel solo che un poco somiglia alla morte.

10 luglio 1959

Nâzim Hikmet, da Poesie sparse,  in Poesie d’amore e di lotta, Mondadori.

 

14°

Mi strugge l’anima perdutamente
il desiderio d’una donna viva,
spirito e carne, da poterla stringere
senza ritegno e scuoterla, avvinghiato
il mio corpo al suo corpo sussultante,
ma poi, in altri giorni più sereni,
starle d’accanto dolcemente, senza
più un pensiero carnale, a contemplare
il suo viso soave di fanciulla,
ingenuo, come avvolto in un dolore
e ascoltare la sua voce leggera
parlarmi lentamente, come in sogno…

24 ottobre 1925

Cesare Pavese, da Prima di “Lavorare stanca” 1923-1930, in Le poesie, Einaudi.

*ascoltando Tango Gotan Project Milonga De Amor https://www.youtube.com/watch?v=77fmgTI5Cn4