Comfort Zone

La zona di comfort: questa super citata zona da cui pare ci si debba allontanare spesso e con decisione (dopo il Triangolo delle Bermude, sembra essere la zona più rischiosa per la nostra esistenza). Ma “il massimo comfort”, non è forse il mantra di ogni promessa pubblicitaria? Auto, vacanze, abiti, scarpe, telefoni: tutti i comfort possibili ci vengono “offerti”  (in vendita, ovviamente), però nel frattempo dobbiamo uscire dal nostro comfort mentale. Non lo so, ci devo pensare… e tu?

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io resterei

 

io invece la vorrei abitare
la comfort zone – additata e disdegnata –
vorrei farci il nido la cuccia il rifugio
il mio saldo castello, sprangare la porta
le finestre richiudere – solo un cambio dell’aria –
non m’interessa più dimostrarmi
contorsionista equilibrista modernissima
navigatrice di sfide autoinflitte
io mi ci vorrei fermare finanche adagiarmi

dove mi sento bene
 
voi, se ne avete voglia
uscite andate evolvete
                      io resterei

©irene.marchi.2024

 

°ascoltando Ludovico Einaudi – Un mondo a parte – https://www.youtube.com/watch?v=A0c7E-CwzME.youtube.com/watch?v=gR4KZjXhoV0

Sii ragionevole!

ragione

Esiste un modo per accendere la ragione e non spegnere il cuore?

 

Ridimensionare

Questa operazione
che la costringete sempre a fare
“ridimensionare”
non è come stringere un vestito
non è indolore
si taglia la pelle del cuore.

Vivian Lamarque, da Teresino, Milano, 1981, presso l’editore Guanda per la Società di Poesia.

 

 

È quel che è

È assurdo
dice la ragione
È quel che è
dice l’amore
È l’infelicità
dice il calcolo
Non è altro che dolore
dice la paura
È vano
dice il giudizio
È quel che è
dice l’amore
È ridicolo
dice l’orgoglio
È avventato
dice la prudenza
È impossibile
dice l’esperienza
È quel che è
dice l’amore.

Erich Fried, da È quel che è, Einaudi, 1988.

* In musica: Carole King  – Change in Mind, Change of Heart
 

La scelta “giusta” non esiste, esistono le scelte

scelta

George Gray

Molte volte ho studiato

la lapide che mi hanno scolpito  ̶

una nave con la vela piegata in riposo nel porto.

In verità non ritrae la mia destinazione,

ma la mia vita.

Perché l’amore mi venne offerto e io fuggii dalla sua delusione;

il dolore bussò alla mia porta, ma io avevo paura;

l’ambizione mi chiamò, ma ero atterrito dai suoi rischi.

Pure tutto il tempo avevo fame di un significato nella vita.

E ora so che dobbiamo innalzare la vela

e cogliere i venti del destino,

ovunque essi guidino la nave.

Dare significato alla vita può sortire follia

ma una vita senza significato è la tortura

dell’irrequietezza e del desiderio vago –

è una nave che anela il mare eppur lo teme.

(Edgar Lee Masters, tratta dall’Antologia di Spoon River, traduzione di Letizia Ciotti Miller)

«Non esiste alcun modo di stabilire quale decisione sia la migliore, perché non esiste alcun termine di paragone. Lʼuomo vive ogni cosa subito per la prima volta, senza preparazioni». Così scrive Milan Kundera in una pagina de Lʼinsostenibile leggerezza dellʼessere.
Però tutti, o quasi, almeno una volta nella vita abbiamo provato la sofferenza legata al rimpianto per una scelta fatta (del resto solo il superuomo di Nietzsche non ha proprio mai rimpianti per il passato – né timori o speranze per il futuro – accettando ogni istante dellʼesistenza): la convinzione o il dubbio fortissimo di aver fatto la scelta sbagliata può diventare assillante fino a occupare costantemente un posto nei nostri pensieri, rovinando anche i momenti più belli.

Nel libro Imperfetti e felici (Imperfaits, libres et heureux, 2006, nella traduzione di Anna Morpurgo, ed. Corbaccio) lo psichiatra francese Christophe André afferma che il rimpianto è ancora più frequente in presenza di problemi di autostima, tanto che alcune persone con una bassa autostima preferiscono non scegliere per non correre il rischio di pentirsene. Ma quello che crea maggiori rimpianti è lʼaver fatto una determinata cosa o il non averla fatta?

Poiché, spiega André, il tempo che passa fa evolvere i nostri rimpianti, nellʼimmediato tendiamo a rimpiangere soprattutto le cose che abbiamo fatto (rimpianti di azione, ovviamente quando quellʼazione non è andata a buon fine), mentre sul lungo termine, e intervenendo un certo distacco, tendiamo a rimpiangere le cose che non abbiamo fatto (rimpianti di inazione). Sul piano emozionale, i primi, in cui rimpiangiamo una realtà, sono definiti “caldi rimpiantiˮ  mentre i secondi, in cui rimpiangiamo una virtualità,vengono definiti “rimpianti melanconiciˮ.
Le ricerche hanno poi riscontrato che i soggetti con una buona autostima producono delle lievi distorsioni della memoria, sentendosi così più vicini ai loro successi e più lontani dai fallimenti, mentre per i soggetti con una bassa autostima accade esattamente lʼinverso. In ogni caso, continua André, tutti, con o senza unʼautostima elevata, per lottare contro i rimpianti eccessivi dovremmo liberarci dal mito della “scelta giustaˮ. Questa semplicemente  non esiste in quanto solo noi abbiamo il potere di rendere le nostre scelte giuste o sbagliate: «Dovremmo evitare di vedere la nostra vita come un susseguirsi di momenti decisivi e definitivi» (cfr. pag. 338 del testo sopra citato).
La cosa migliore, per liberarsi almeno dalla paura dei rimpianti anticipati legati a una scelta, non è quindi rinunciare ad agire, ma aumentare la propria capacità di tollerare il fallimento. E soprattutto imparare a ricavarne un insegnamento.

Inoltre, come consiglia spesso ai suoi studenti la professoressa Catherine Drew Gilpin Faust (la prima donna a ricoprire la carica di Rettore dellʼUniversità di Harvard), non dovremmo  accontentarci sempre del “primo parcheggio liberoˮ facendo cioè solo le scelte più semplici, ma tentare anche scelte più ardite (la teoria “del parcheggio liberoˮ, the parking space theory of life afferma infatti, metaforicamente, che non bisognerebbe parcheggiare a un chilometro di distanza dalla propria destinazione solo perché si teme di non riuscire a trovare un altro posto libero: meglio arrivare più vicini alla propria destinazione e se proprio non si riuscisse a trovare “parcheggioˮ, si tornerà indietro). È necessario perciò imparare ad accettare, se non ad amare, le scelte più o meno coraggiose già fatte e affrontare quelle future con questa consapevolezza, senza attendere che siano gli eventi esterni a decidere per noi.

Ma come la mettiamo con i rimpianti che già ci fanno compagnia? Come possiamo renderli meno dolorosi e convincerci che quella sensazione che spesso torna a perseguitarci in fondo ci può essere utile e ci sta insegnando qualcosa? In realtà faremmo volentieri a meno anche dellʼinsegnamento oltre che della sensazione dolorosa. Però eliminare del tutto e in poco tempo i rimpianti è quasi impossibile, possiamo solo mitigarli con qualche strategia.

Nellʼattesa di metabolizzare la lezione  e di sentirci meno schiacciati da questa fastidiosa compagnia, potremmo provare a credere a queste  parole di Arthur Golden tratte da  Memorie di una geisha: «Il rimpianto è un tipo di dolore molto particolare; di fronte a esso siamo impotenti. È come una finestra che si apra di sua iniziativa: la stanza diventa gelida e noi non possiamo fare altro che rabbrividire. Ma ogni volta si apre sempre un po’ meno, finché non arriva il giorno in cui ci chiediamo che fine abbia fatto».

Un amico saggio, quindi, vedendoci in difficoltà, ci direbbe di attendere con pazienza il giorno in cui il rimpianto sembrerà svanire e nel frattempo continuare a fare le nostre scelte senza troppa paura. Saremo capaci di ascoltarlo? (Irene Marchi – testo già apparso in http://caffebook.it/societa-2/item/398-la-scelta-giusta-non-esiste-esistono-le-scelte.html)

*Io ascolterei:  Edith Piaf – Non, je ne regrette rien.