S di stupore

Sono talmente tante le domande che potremmo farci! Risposte non ce ne sono, quindi non resta che continuare a stupirsi.

Stupore

Perché mai a tal punto singolare?
Questa e non quella? E qui che ci sto a fare?
Di martedì? In una casa e non nel nido?
Pelle e non squame? Non foglia, ma viso?
Perché di persona una volta soltanto?
E sulla terra? Con una stella accanto?
Dopo tante ere di non presenza?
Per tutti i tempi e tutti gli ioni?
Per i vibrioni e le costellazioni?
E proprio adesso? Fino all’essenza?
Sola da me e con me? Perché mi chiedo,
non a lato, né a miglia di distanza,
non ieri, né cent’anni addietro, siedo
e guardo un angolo buio della stanza
come, rizzato il capo, sta a guardare
la cosa ringhiante che chiamano cane?

Wislawa Szymborska, da Ogni caso, 1972, traduzione di Pietro Marchesani

°ascoltando Hermanos Gutiérrez – El Bueno Y El Malo https://www.youtube.com/watch?v=3WSFVdQQwhc&t=17s

 

(per altre lettere dell’alfabeto, puoi leggere qui)

A di Altrove

L’altrove è il luogo di tutte le possibilità, di quello che sarebbe potuto accadere o non accadere se…, di quello che forse, nel Qui, non accadrà mai. Altrove  è il posto giusto per le probabilità più improbabili. Sei mai stat*   Altrove?

***

La stazione

Il mio arrivo nella città di N. è avvenuto puntualmente.
Eri stato avvertito con una lettera non spedita.
Hai fatto in tempo a non venire all’ora prevista.
Il treno è arrivato sul terzo binario. È scesa molta gente.
L’assenza della mia persona si avviava verso l’uscita tra la folla.
Alcune donne mi hanno sostituito frettolosamente in quella fretta.
A una è corso incontro qualcuno che non conoscevo, ma lei lo ha riconosciuto immediatamente.
Si sono scambiati un bacio non nostro, intanto si è perduta una valigia non mia.
La stazione della città di N. ha superato bene la prova di esistenza oggettiva.
L’insieme restava al suo posto. I particolari si muovevano sui binari designati.
È avvenuto perfino l’incontro fissato.
Fuori dalla portata della nostra presenza.
Nel paradiso perduto della probabilità.
Altrove. Altrove. Come risuonano queste piccole parole.

Wislawa Szymborska, da Vista con granello di sabbia, Adelphi, 1998, traduzione di Pietro Marchesani

°ascoltando Rory Gallagher – A Million Miles Away  https://www.youtube.com/watch?v=JR-cMLa-Shw

(per altre lettere dell’alfabeto, puoi leggere qui: E) Alfabeto | La poesia non si mangia – Dove si parla di poesia e poesie (blog) (myblog.it))

Uscita di emergenza?

uscita d'emergenza

In certi casi non esiste proprio via di fuga (come fa intendere la poetessa polacca citata sotto), ma ho il sospetto che molte volte il difficile non sia trovare l’uscita d’emergenza, ma capire da che cosa si debba scappare.

La veglia

La veglia non svanisce
come svaniscono i sogni.
Nessun brusio, nessun campanello
la scaccia,
nessun grido né fracasso
può strapparci da essa.
Torbide e ambigue
sono le immagini nei sogni,
il che può spiegarsi
in molti modi.
Veglia significa veglia
ed è un enigma maggiore.
Per i sogni ci sono chiavi.
La veglia si apre da sola
e non si lascia sbarrare.
Da essa si spargono
diplomi e stelle,
cadono giù farfalle
e anime di ferri vecchi
da stiro,
berretti senza testa
e cocci di nuvole.
Ne vien fuori un rebus
irrisolvibile.
Senza di noi non ci sarebbero sogni.
Quello senza cui non ci sarebbe veglia
è ancora sconosciuto,
ma il prodotto della sua insonnia
si comunica a chiunque
si risvegli.
Non i sogni sono folli,
folle è la veglia,
non fosse che per l’ostinazione
con cui si aggrappa
al corso degli eventi.
Nei sogni vive ancora
chi ci è morto da poco,
vi gode perfino di buona salute
e di ritrovata giovinezza.
La veglia depone davanti a noi
il suo corpo senza vita.
La veglia non arretra di un passo.
La fugacità dei sogni fa sì
che la memoria se li scrolli di dosso facilmente.
La veglia non deve temere l’oblio.
È un osso duro.
Ci sta sul groppone,
ci pesa sul cuore,
sbarra il passo.
Non le si può sfuggire,
perché ci accompagna in ogni fuga.
E non c’è stazione
lungo il nostro viaggio
dove non ci aspetti. 

Wislawa Szymborsca, da La fine e l’inizio, Scheiwiller, Milano 1997

 

Certo, tutto sarebbe più facile se ci venisse indicato chiaramente da che cosa fuggire (sì, ma che cosa ce lo indica? le nostre intuizioni? i consigli? lo psicologo? i segnali luminosi?), come fa Samuel  Bellamy, pirata, poeta, filosofo e pensatore britannico del 1600, nella poesia qui sotto (trovata nel web, di cui però  non sono riuscita a rintracciare la fonte cartacea; si tratta dello stesso pirata-poeta citato da De Andrè nell’album  Le nuvole). “Così dev’essere” scrive il nostro pirata: beato lui che aveva queste certezze!

Fuggi

Fuggi da me, poiché io sono un miserabile.
Ruberei senza alcuna pena, giurando il falso.
Fuggi da me, poiché io sono un millantatore.
Convincerei lo stesso Iddio di non esser poi così onnipotente.
Fuggi da me, poiché io sono un assassino.
Ucciderei senza alcun dubbio, mangiando subito dopo e senza perdere il sonno.
Fuggi da me poiché io sono un Poeta.
Posso con le parole dipingere mondi e realtà ultraterrene, eteree, lontane dalla concezione dell’occhio.
Fuggi da me poiché io son tutto e son nulla,
fuggi da me Fanciulla poiché tutto questo io lo farei per te.
Fuggi da me, perché?… Perché così dev’essere!

Samuel  Bellamy, pirata, poeta, filosofo e pensatore britannico (1689/1717)

* ascoltando  Jeremy Spencer Band – Flee
https://www.youtube.com/watch?v=Fz07bM46Ofw

emergenzafuggire