Memoria

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Se questo è un uomo

Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi, alzandovi.
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi.

Primo Levi, da Se questo è un uomo, 1958, Einaudi

Per non dimenticare

27gennaio

27 gennaio – Giornata della Memoria

Alzarsi

Sognavamo nelle notti feroci
sogni densi e violenti
sognati con anima e corpo:
tornare; mangiare; raccontare.
Finché suonava breve sommesso
il comando dell’alba:
“Wstawàc”:
e si spezzava in petto il cuore.

Ora abbiamo ritrovato la casa,
il nostro ventre è sazio,
abbiamo finito di raccontare.
È tempo. Presto udremo ancora
il comando straniero:
“Wstawàc”.

(11 gennaio 1946)

Primo Levi

 

Ad Auschwitz

Ad Auschwitz
pile di occhiali
montagne di scarpe
sulla via del ritorno
ognuno fissava fuori dal finestrino in direzione diversa.

Ko Un, da Fiori di un istante, 2001

 

 

 

 

27 Gennaio – Giorno della Memoria

27gennaio

27 Gennaio – Giorno della Memoria

Oh, notte dei bimbi piangenti!
Notte dei bimbi chiamati alla morte!
Non può più entrare il sonno.
Orribili guardiane
hanno sostituito le madri,
nei muscoli delle mani tendono la falsa morte,
la spargono sui muri e sulle travi,
tutto fermenta nei nidi dell’orrore.
Paura allatta i bimbi e non la madre.
Appena ieri la mamma chiamava il sonno
su loro, come una bianca luna,
in un braccio era la bambola —
con le guance lavate dai baci,
nell’altro una bestia di pezza
fatta viva dall’amore.
Soffia ora il vento della morte,
solleva le camicie sui capelli
che nessuno più pettinerà.

 

Coro dei superstiti

Noi superstiti
dalle cui ossa la morte ha già intagliato i suoi flauti,
sui cui tendini ha già passato il suo archetto –
I nostri corpi ancora si lamentano
col loro canto mozzato.
Noi superstiti
davanti a noi, nell’aria azzurra,
pendono ancora i lacci attorti per i nostri colli –
le clessidre si riempiono ancora con il nostro sangue.
Noi superstiti,
ancora divorati dai vermi dell’angoscia –
la nostra stella è sepolta nella polvere.
Noi superstiti
vi preghiamo:
mostrateci lentamente il vostro sole.
Guidateci piano di stella in stella.
Fateci di nuovo imparare la vita.
Altrimenti il canto di un uccello,
il secchio che si colma alla fontana
potrebbero far prorompere il dolore
a stento sigillato
e farci schiumar via –
Vi preghiamo:
non mostrateci ancora un cane che morde
potrebbe darsi, potrebbe darsi
che ci disfiamo in polvere
davanti ai vostri occhi.
Ma cosa tiene unita la nostra trama?
Noi, ormai senza respiro,
la nostra anima è volata a Lui alla mezzanotte
molto prima che il nostro corpo si salvasse
nell’arca dell’istante –
Noi superstiti,
stringiamo la vostra mano,
riconosciamo i vostri occhi –
ma solo l’addio ci tiene ancora uniti,
l’addio nella polvere
ci tiene uniti a voi –

Nelly Sachs*, da Nelle dimore della morte, in Al di là della polvere, Einaudi, traduzione di Ida Porena.  

*Nelly Sachs è nata  a Berlino nel 1891 ed è morta a Stoccolma nel 1970. I suoi libri di poesie sono tra le più drammatiche testimonianze dell’Olocausto. Nel 1940 riuscì a fuggire in Svezia e questa esperienza segnò un netto discrimine anche poetico, oltre che di vita: ripudiò infatti tutto quello  che aveva scritto prima dell’espatrio, quando viveva in Germania, come se la sua vita  e la sua capacità di “vedere” e scrivere fossero cominciate in seguito alla conoscenza della realtà del terribile genocidio. È stata insignita del Premio Nobel per la Letteratura nel 1966 con questa motivazione: “Per la sua lirica notevole e la scrittura drammatica, che interpreta il destino di Israele con forza toccante”. Pur non avendo vissuto in prima persona l’orrore dei lager nazisti ha saputo interpretare tutta la disperazione e la tragedia di quegli eventi in maniera forte e profondissima. “L’opera poetica di Nelly Sachs è grande e misteriosa […]. Di questo tipo è la poesia di Nelly Sachs: dura ma trasparente (…)” (dall’introduzione di Hans Magnus Enzensberger alla raccolta poetica Al di là della polvere, Einaudi, 1961).

Per non dimenticare

27 gennaio – Giornata della Memoria

27gennaio

Per non dimenticare. Mai.

 

Non si conosce l’autore di questa prima poesia, sappiamo solo che era un bambino o forse un ragazzino o una ragazzina del ghetto di Terezín*

Vedrai che è bello vivere

Chi s’aggrappa al nido
non sa che cos’è il mondo,
non sa quello che tutti gli uccelli sanno e
non sa perché vogliono cantare
il creato e la sua bellezza.
Quando all’alba il raggio del sole
illumina la terra
e l’erba scintilla di perle dorate,
quando l’aurora scompare
e i merli fischiano tra le siepi,
allora capisco come è bello vivere.
Prova, amico, ad aprire il tuo cuore alla bellezza
quando cammini tra la natura
per intrecciare ghirlande coi tuoi ricordi:
anche se le lacrime ti cadono lungo la strada,
vedrai che è bello vivere.

 

Il giardino – di Frantisek Bass, nato il 4.9.1930, deportato a Terezín

È piccolo il giardino
profumato di rose,
è stretto il sentiero
dove corre il bambino:
un bambino grazioso
come un bocciolo che si apre:
quando il bocciolo si aprirà
il bambino non ci sarà.

 

*Il  ghetto  di Terezín fu, durante la seconda guerra mondiale, il  maggiore campo di concentramento sul territorio della Cecoslovacchia. Fra i prigionieri del ghetto  vi furono all’incirca 15.000 bambini (di questi, solo un centinaio riuscirà a sopravvivere). Erano in prevalenza figli degli ebrei Cechi, deportati a Terezín assieme ai genitori per essere spediti nei campi di sterminio più a Est. Per un certo periodo i prigionieri adulti riuscirono ad alleviare le condizioni di vita dei bambini facendo in modo che questi venissero concentrati nelle case per bambini. Nelle case operarono educatori e insegnanti prigionieri che riuscirono, nonostante le infinite difficoltà e con limitatissime possibilità, a organizzare per i piccoli una vita giornaliera e perfino una sorta di insegnamento clandestino. In particolare, l’insegnante d’arte Friedl Dicker-Brandeis creò per loro una classe di disegno: il risultato di questa attività fu una raccolta di oltre quattromila disegni e poesie  che Friedl nascose in due valigie prima di essere deportata ad Auschwitz. Molte di queste testimonianze (scampate alle ispezioni naziste e riscoperte dopo oltre dieci anni dal termine del conflitto) sono oggi conservate presso il Museo Ebraico di Praga.

 

Canzone del bambino nel vento (Auschwitz) – Francesco Guccini

Son morto con altri cento,
son morto ch’ero bambino,
passato per il camino
e adesso sono nel vento
e adesso sono nel vento

Ad Auschwitz c’era la neve,
il fumo saliva lento
nel freddo giorno d’inverno
e adesso sono nel vento,
e adesso sono nel vento

Ad Auschwitz tante persone,
ma un solo grande silenzio:
è strano non riesco ancora a sorridere qui nel vento,
a sorridere qui nel vento…

Io chiedo come può l’uomo
uccidere un suo fratello
eppure siamo a milioni
in polvere qui nel vento,
in polvere qui nel vento

Ancora tuona il cannone
ancora non è contenta
di sangue la bestia umana
e ancora ci porta il vento
e ancora ci porta il vento

Io chiedo quando sarà
che l’uomo potrà imparare
a vivere senza ammazzare
e il vento si poserà
e il vento si poserà

Io chiedo quando sarà
che l’uomo potrà imparare
a vivere senza ammazzare
e il vento si poserà
e il vento si poserà
e il vento si poserà…

Per non dimenticare.