Che cosa cerchi in una poesia?

ciao

Va bene, è vero: la poesia non si mangia.
Ma io preferisco averne in casa sempre una cassetta.

Ma tu, che cosa cerchi in una poesia? (Se adesso stai leggendo in questo “posto dove si parla di poesia” probabilmente non detesti la poesia, perciò mi permetto di farti questa domanda; se invece sei capitato qui per caso… comunque la domanda ormai l’ho fatta!)

Leggere poesie

Chi
da una poesia
si aspetta la salvezza
dovrebbe piuttosto
imparare
a leggere poesie

Chi
da una poesia
non aspetta alcuna salvezza
dovrebbe piuttosto
imparare
a leggere poesie

°°°

Gedichte lesen

Wer
von einem Gedicht
seine Rettung erwartet
der sollte lieber
lernen
Gedichte zu lesen

Wer
von einem Gedicht
keine Rettung erwartet
der sollte lieber
lernen
Gedichte zu lesen

Erich Fried, da È quel che è. Poesie d’amore di paura di collera, Torino, Einaudi, 1988, traduzione di Andrea Casalegno

*ascoltando Cecco Angiolieri cantato da Fabrizio de Andrè – S’i fossi foco https://www.youtube.com/watch?v=L88kjOnBdEY

Sulla strada

ontheroad

Sulla strada, tra poesie e canzoni
(o tra poesiecanzoni o canzonipoesie… come preferisci).

 

Via del Campo
 
Via del Campo c’è una graziosa
gli occhi grandi color di foglia
tutta notte sta sulla soglia
vende a tutti la stessa rosa.

Via del Campo c’è una bambina
con le labbra color rugiada
gli occhi grigi come la strada
nascon fiori dove cammina.

Via del Campo c’è una puttana
gli occhi grandi color di foglia
se di amarla ti vien la voglia
basta prenderla per la mano

e ti sembra di andar lontano
lei ti guarda con un sorriso
non credevi che il paradiso
fosse solo lì al primo piano.

Via del Campo ci va un illuso
a pregarla di maritare
a vederla salir le scale
fino a quando il balcone ha chiuso.

Ama e ridi se amor risponde
piangi forte se non ti sente
dai diamanti non nasce niente
dal letame nascono i fior
dai diamanti non nasce niente
dal letame nascono i fior.

Fabrizio De André, dall’album Volume 1°, 1967

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Storie della strada

Le storie della strada sono mie
Voci spagnole ridono
Cadillac scendono furtive
Nella notte e nel loro gas velenoso.
Io mi sporgo dal davanzale
Di questo vecchio hotel che ho scelto
Una mano sul mio suicidio
Una mano sulla rosa.

So che hai saputo che è finita
E che la guerra deve certo venire
Le città sono spezzate in due
E gli uomini di mezzo scomparsi
Ma permettete che vi domandi una volta ancora
Figli della polvere,
Tutti questi cacciatori strillanti
Parlano a nome nostro?

E dove andranno tutte queste strade maestre
Ora che siamo liberi
Perché gli eserciti continuano a marciare,
Non dovevano tornare a casa da me?
O signora dalle belle gambe
O straniero al tuo volante
Siete chiusi nelle vostre sofferenze
E i vostri piaceri sono il sigillo

L’età della cupidigia sta partorendo
Ed entrambi i genitori chiedono
All’infermiera di raccontar le loro favole
Da entrambi i lati del vetro
Ora il neonato col suo cordone
È trainato dentro come un aquilone
Un occhio pieno di progetti
Un occhio pieno nella notte.

Vieni con me piccola
E troveremo quella fattoria
Dove cresceremo erba e mele
Dove terremo gli animali al caldo.
E se per caso mi sveglio nella notte
E ti chiedo ch’io sia
Allora conducimi allo scannatoio
Attenderò là assieme all’agnello.

Una mano su una Stella di David
Una mano su una ragazza
In equilibrio su un pozzo dei desideri
Che gli uomini chiamano il mondo.
Siamo così piccoli fra le stelle
Così grandi contro il cielo
Perduto fra la folla della metropolitana
Io cerco di afferrare il tuo sguardo.

°°°

Stories of the Street

The stories of the street are mine,
the Spanish voices laugh.
The Cadillacs go creeping now
through the night and the poison gas,
and I lean from my window sill
in this old hotel I chose,
yes one hand on my suicide,
one hand on the rose.

I know you’ve heard it’s over now
and war must surely come,
the cities they are broken in half
and the middle men are gone.
But let me ask you one more time,
O, children of the dusk,
All these hunters who are shrieking now
oh do they speak for us?

And where do all these highways go,
now that we are free?
Why are the armies marching still
that were coming home to me?
O, lady with your legs so fine
O, stranger at your wheel,
You are locked into your suffering
and your pleasures are the seal.

The age of lust is giving birth,
and both the parents ask
the nurse to tell them fairy tales
on both sides of the glass.
And now the infant with his cord
is hauled in like a kite,
and one eye filled with blueprints,
one eye filled with night.

O come with me my little one,
we will find that farm
and grow us grass and apples there
and keep all the animals warm.
And if by chance I wake at night
and I ask you who I am,
O take me to the slaughterhouse,
I will wait there with the lamb.

With one hand on the hexagram
and one hand on the girl
I balance on a wishing well
that all men call the world.
We are so small between the stars,
so large against the sky,
and lost among the subway crowds
I try to catch your eye.

Leonard Cohen, dall’album Songs of Leonard Cohen, 1967,  testo e traduzione da Leonard Cohen, Canzoni da una stanza – Tutti i testi, a cura di Massimo Cotto, Arcana Editrice, Milano, 1993

*ascoltando  Manu Chao – Me Llaman Calle https://www.youtube.com/watch?v=2j7G4vxoDF8

Consiglio un libro (4°) – Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters: oltre le ipocrisie (verso la libertà)

dormonosullacollina

L’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters: oltre le ipocrisie (verso la libertà)

(articolo originale già pubblicato qui https://caffebook.it/2016/08/23/l-antologia-di-spoon-river-di-edgar-lee-masters-oltre-le-ipocrisie-verso-la-liberta/)

Cosa ci renderebbe liberi di poter dire, senza alcuna limitazione, tutta la verità su di noi, sui nostri pensieri più sinceri, sui nostri più profondi desideri? Solo l’irrealizzabile fatto di raccontarli senza essere più in vita, quindi il non doverci più preoccupare di ciò che dobbiamo apparire  perché gli eventi, le necessità, gli altri (e molto spesso noi stessi) ci hanno imposto determinati “abiti”. Ed esattamente  tutta la verità dicono i 244 personaggi dell’Antologia di Spoon River, personaggi ormai morti ma vivissimi nella loro “rivelazioni”.

Questo libro, dal successo incredibile e che secondo Fernanda Pivano è stato il libro di poesia americana più venduto fino al momento della sua pubblicazione (1914-1916),  è l’opera più famosa di Edgar Lee Masters.  Nato il 23 agosto 1868, a Garrett (in Kansas, ma trascorrerà l’infanzia a Petersburg e l’adolescenza a Lewistown, Illinois), Masters svolse la professione di avvocato, anche se era stato il padre a costringerlo a seguire tale carriera, allontanandolo dagli studi a causa delle precarie condizioni economiche della famiglia. Ma il forte interesse per la cultura e la scrittura non lo abbandonò mai. Infatti nel 1898 pubblicò un primo libro di poesie e nel corso dei dieci anni successivi espresse  le sue idee libertarie in una serie di saggi e opere teatrali, scritti però con lo pseudonimo di Wallace Dexter, continuando sempre a lavorare come avvocato. Poi si accorse (cito le parole di Fernanda Pivano) “che se la vita di campagna era molto diversa da quella di città, non cambiavano granché gli esseri umani […] che le passioni sono identiche in tutti, anche se in qualcuno sono più abilmente soffocate o nascoste. E gli venne in mente di raccontare la storia del suo villaggio […]. Ma non sapeva decidersi a scegliere la forma in cui raccontarla”(cfr. l’introduzione all’edizione italiana dell’Antologia di Spoon River, Einaudi, 2009, p. XII). È il direttore di un giornale, il Mirror di St. Louis, a suggerirgli di leggere l’Antologia Palatina, una raccolta di epitaffi ed epigrammi greci ricchi di passioni e intimità. Nasce così in Masters l’idea di far parlare proprio sotto forma di epitaffi, quindi semplici iscrizioni tombali, ciascun abitante di un immaginario villaggio, anche se “immaginario” non lo era completamente: fu infatti in seguito ai racconti della madre sugli eventi tristi e fallimentari dei suoi vecchi conoscenti, che scrisse la prima poesia, La collina  (dove immagina tutti gli abitanti sepolti uno accanto all’altro “Tutti, tutti, dormono sulla collina…“), e dopo quella ne seguirono molte altre. Quindi quasi per scherzo scelse il titolo “Antologia di Spoon River ” (Spoon è il fiume che attraversa la cittadina di Lewistown e per questo spesso nelle guide è questa città a essere definita la patria di Masters, anche se in realtà furono Petersburg e il fiume Sangamon a ispirare il nucleo fondamentale dell’antologia) e inviò il tutto al giornalista di S. Louis che pubblicò subito le poesie con un secondo pseudonimo (Webster Ford). Le poesie continuarono a uscire sul Mirror  dal maggio del 1914 fino alla fine dell’anno e ottennero un successo tale da costringerlo a rinunciare allo pseudonimo.  E anche l’intera antologia, pubblicata in un unico volume nel 1916, continuò ad avere un successo così grande  da consentire a Masters di lasciare la professione di avvocato (nel 1920) vivendo per qualche anno dei proventi del libro e della sua attività di scrittore. Le altre sue opere (molte in versi, alcune opere teatrali e sei studi biografici tra cui quelli su Walt Whitman, Mark Twain e Abraham Lincoln), non ebbero però la fortuna dell’Antologia, e in seguito Masters,  per sopravvivere, dovette ricorrere all’aiuto di amici, per poi morire in povertà (nel 1950).

In Italia questo testo è stato pubblicato la prima volta da Einaudi, nel 1943, nella traduzione di Fernanda Pivano (e da allora vi sono state sessantadue edizioni e sono stati venduti più di cinquecentomila esemplari). Era però stato scoperto da Cesare Pavese (tramite un amico italo-americano che spesso gli passava libri di autori introvabili in Italia), che se ne innamorò e  convinse Einaudi a pubblicare il manoscritto della traduzione fatta appunto dalla Pivano  (anche se per ottenere l’autorizzazione dalle censure di quegli anni, dovette richiedere il permesso di pubblicazione per l’antologia di un improbabile santo, “Antologia di S. River”, titolo con cui effettivamente venne pubblicata in un primo momento).

È questa la storia del libro di Edgar Lee Masters, letto e amato da tantissime persone e il perché lo si può capire anche dalle parole della stessa Fernanda Pivano: “Non c’è dubbio che per un’adolescenza come la mia, infastidita dalla roboanza dell’epicità a tutti i costi in voga nel nostro anteguerra, la semplicità scarna dei versi di Masters e il loro contenuto dimesso, rivolto ai piccoli fatti quotidiani privi di eroismi e impastati soprattutto di tragedia, erano una grossa esperienza. […] la rivolta al conformismo, la brutale franchezza, la disperazione, la denuncia della falsità morale, l’ironia antimilitarista, anticapitalista, antibigottista: la necessità e l’impossibilità di comunicazione. In questi personaggi che non erano riusciti a farsi ‘capire’ e non avevano ‘capito’, dal loro dramma di poveri esseri umani travolti da un destino incontrollabile, scaturiva un fascino sempre più sottile…”.

Leggendo i versi dell’Antologia si intuisce facilmente la volontà di Masters di portare nella poesia la vita “vera” con tutte le sue sfaccettature, raccontandoci quindi ogni aspetto umano, più o meno luminoso, senza nascondere nulla: in questo modo i personaggi, che dovrebbero essere morti, in realtà ci appaiono vivi di una vita finalmente sincera. Gli epitaffi che leggiamo in questo libro abbattono in modo semplice e al contempo magistrale le ipocrisie di ogni tempo. Ecco perché, forse, la lettura dell’Antologia di Spoon River risulta sempre un’esperienza coinvolgente e attuale. Tra tutte le poesie dell’antologia, è impossibile non citare almeno Il suonatore Jones, che Fabrizio  De André trasformò in una canzone, assieme ad altre otto poesie, nell’album Non al denaro, non all’amore né al cielo del 1971.

Jones è l’unico personaggio, in questa raccolta di canzoni, a cui De André lascia il nome. Se infatti nelle poesie originali di Edgar Lee Masters ogni personaggio ha un nome e un cognome, i titoli delle canzoni di De André  sono generici (Un  medico, Un giudice, Un malato di cuore, e così via) sottolineando in tal modo l’universalità  di alcuni comportamenti umani che si possono ritrovare in ogni luogo e in ogni tempo. Ma, soprattutto, Il suonatore Jones (personaggio con cui si chiude l’album) rappresenta l’unica anima che si è salvata (e così intendeva lo stesso Masters): è il solo su quella collina a non avere rimpianti di alcun tipo, perché è il solo a non aver rinunciato alla felicità. Per tutta la vita egli ha fatto quello che sentiva di voler fare:  suonava come se fosse una missione e proprio in questo modo si è salvato. Jones è quindi il simbolo di chi ha il coraggio di essere sé stesso fino in fondo e non rinuncia a scegliere di essere libero. Il suonatore Jones è la speranza che Masters ci lascia.

Il suonatore Jones

 (E. L. Masters)

La terra ti suscita,
vibrazioni nel cuore: sei tu.

E se la gente sa che sai suonare,

suonare ti tocca, per tutta la vita.

[…]

Finii con le stesse terre,

finii con un violino spaccato —

e un ridere rauco e ricordi,

e nemmeno un rimpianto.

* Fabrizio De André – Il suonatore Jones https://www.youtube.com/watch?v=cuAhlWLBZ_M

Lista delle cose da fare: 4 – giocare con le nuvole

“Nuvole… Continuano a passare, continuano ancora a passare, passeranno sempre continuamente, in una sfilza discontinua di matasse opache, come il prolungamento diffuso di un falso cielo disfatto”.

Fernando Pessoa, da Il libro dell’inquietudine

nuvola

Che c’è di strano nell’amare (anche) le nuvole? Anche quelle scure, anche quelle che porteranno la pioggia? E cosa ci vedi, tu, adesso, in quella nuvola lassù?

 

Vanno
vengono
ogni tanto si fermano
e quando si fermano
sono nere come il corvo
sembra che ti guardano con malocchio

Certe volte sono bianche
e corrono
e prendono la forma dell’airone
o della pecora
o di qualche altra bestia
ma questo lo vedono meglio i bambini
che giocano a corrergli dietro per tanti metri

Certe volte ti avvisano con rumore
prima di arrivare
e la terra si trema
e gli animali si stanno zitti
certe volte ti avvisano con rumore

Vanno
vengono
ritornano
e magari si fermano tanti giorni
che non vedi più il sole e le stelle
e ti sembra di non conoscere più
il posto dove stai

Vanno
vengono
per una vera
mille sono finte
e si mettono li tra noi e il cielo
per lasciarci soltanto una voglia di pioggia.

Fabrizio De André, dall’album Le nuvole, 1990
 
 

Il giorno apre la mano
Tre nubi
E queste poche parole

 Octavio Paz, da Libertà sulla parola, in Il fuoco di ogni giorno, traduzione di Ernesto Franco.
* ascolterei: Angelo Branduardi – L’uomo e la nuvola https://www.youtube.com/watch?v=Z1HLEAMRxZopoi anche un po’ di silenzio.