Quei vecchi segni

Un motivo per cui non amo molto prestare i libri che mi sono piaciuti (anche perché, si sa, i libri prestati raramente ritornano indietro) è che, sempre, mentre leggo un libro (che ho comprato o che mi hanno regalato), sottolineo, annoto, disegno… insomma, lascio qualche segno sulle pagine. Quando poi vado a rileggerli  “rivivo” anche quei vecchi segni  e quindi quei libri diventano per me doppiamente emozionanti.  Altri invece preferiscono non segnare i libri, mai e in nessun modo.

E tu, ami scrivere oppure no sulle pagine dei tuoi libri?

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Note a margine

A volte ritorniamo sulle pagine
dove una volta siamo stati felici.
È facile come lasciare che corrano
all’indietro tra le dita,
tornare ai segni che abbiamo lasciato,
a quelle brevi note con cui
volevamo indicare a un altro lettore
che proprio lì doveva fermarsi.
Basta cercarle per vedere
che non sono più le stesse:
qualcosa è cambiato in questo breve
intervallo in cui ce ne siamo andati.
Tornare è un altro modo di misurare
la grandezza incerta della ferita.

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Notas marginales

A veces volvemos a las páginas
donde una vez fuimos felices.
Es tan fácil como dejar que corran
hacia atrás entre los dedos,
volver a las marcas que dejamos,
a esas breves notas con las que
quisimos indicar a otro lector
que allí debiera detenerse.
Basta con buscarlas para ver
que ya no son las mismas:
algo ha cambiado en este corto
intervalo en que nos fuimos.
Volver es otra forma de medir
la magnitud incierta de la herida.

Alfonso Brezmes, da Dono di Lingue, in Quando non ci sono, traduzione di Mirta Amanda Barbonetti, Einaudi Editore, 2021

Parole lisce o gassate? (Fuori tema n.21)

Immagino le parole  (che le persone si scambiano) come un bicchiere d’acqua:  apparentemente è solo acqua, ma a volte è acqua gassata e, agitandola un po’, si vedono le bollicine. Così le parole: sembra che esprimano solo un significato liscio e letterale, ma, muovendole un po’ con il pensiero, a volte si scoprono le bolle di un sottotesto. E queste saranno molto più forti delle parole stesse.

Capita anche di bere dell’acqua decisamente troppo gassata.

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Sono un’esperta di sottotesti. Ho studiato alla scuola della crudeltà. E in città. In mezzo alle buone maniere. Ai discorsi intelligenti. Alle adulazioni e ai sottili razzismi. Mi sono sentita indifesa e sguarnita, finché non ho imparato l’indelebile arte della decifrazione. Gli animali ti assalgono, ti azzannano, ti pungono, ti graffiano, ti minacciano. Di recente, in una via cittadina, ho visto un cane legato con il guinzaglio a un palo, era umiliato e furente. Mi sono avvicinata, gli ho parlato un momento, poi ho fatto per allungare discretamente una mano verso di lui. Mi ha mostrato i denti e ha rinviato. L’ho salutato e me ne sono andata pensando: “Che gentile! Mi ha subito avvertito, stai in là, sono furibondo”.

Chandra Livia Candiani, da Questo immenso non sapere, Einaudi, 2021

Le ferite le riconosci

poesia

Nello spazio di una poesia si incontrano almeno due persone:
chi ha scritto e chi si riconosce in quelle parole

Meglio non dire nulla

Meglio non dire nulla.
Sarebbe inutile. È già passato.
Fu una scintilla, un istante. Accadde.
Io accaddi in quell’istante.
Forse anche Lei lo fece.
Succede con le poesie:
finiscon per condensarsi le forme
nei nostri occhi come il vapore
su di un vetro gelato;
le forme, e le ferite.
Chi costruisce il testo
ne sceglie il tono, lo scenario,
dispone prospettive, inventa personaggi,
propone i loro incontri, e gli detta gli impulsi,
ma la ferita no, la ferita va innanzi,
non inventiamo la ferita, andiamo
da lei e la riconosciamo.

Hantal Maillard (1951, Bruxelles), da Matar a Platón, 2004, traduzione di Gloria Bazzocchi

*ascoltando Neil Young – Words (Between the Lines of Age) https://www.youtube.com/watch?v=Ud9tWLvR6xg