Libertà in poesia: inventare e reinventare le parole

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La poesia ha il meraviglioso privilegio di poter giocare con il linguaggio, di mischiare idee e parole senza sottostare a troppe regole. Quando un autore riesce a reinventare le parole (o a crearne di nuove) portandole  fuori dal loro contesto e a inserirle con grazia in una nuova dimensione,  la poesia che nasce ha una  forza  particolare e difficilmente viene dimenticata.

Riporto due esempi  di un autore italiano che amo molto: Erri De Luca. Entrambe le poesie sono tratte da L’ospite incallito, Giulio Einaudi Editore, Torino, 2008 e  hanno l’inconfondibile stile dell’autore:  versi (come anche la sua prosa, del resto) sinceri, diretti, mai banali, concentrati  e densi di emotività.

Proposta di modifica

C’è il verbo snaturare, ci dev’essere pure innaturare,
con cui sostituisco il verbo innamorare
perché succede questo: che risento il corpo,
mi commuove una musica, passa corrente sotto i polpastrelli,
un odore mi pizzica una lacrima, sudo, arrossisco,
in fondo all’osso sacro scodinzola una coda che s’è persa.
Mi sono innaturato: è più leale.
M’innaturo di te quando t’abbraccio.

 

Maniera

Accosto la fronte alla tua, si toccano, dico: «È una frontiera».
Fronte a fronte: frontiera, mio scherzo desolato, ci sorridi.
Col naso ci riprovo, tocco il naso, per una tenerezza da canile:
«E questa è una nasiera», dico per risentire casomai un secondo sorriso, che non c’è.
Poi tu metti la mano sulla mia e io resto indietro di un respiro.
«E questa è una maniera», mi dici.
« Di lasciarsi?», ti chiedo. «Sì, così».

Erri De Luca, da L’ospite incallito, Giulio Einaudi Editore, Torino, 2008