La nostra era geo(priva di)logica

                          (Cercasi giacimento di buon senso)

Suite del Plasticene

Oggetto simil-roccia su spiaggia

Il Paleocene l’Eocene
il Miocene il Pleistocene
e ora siamo qui: il Plasticene.

Guarda, una roccia fatta di sabbia
e una di calce, e una di quarzo,
e una di cos’è questo?

È nero e a strisce  e viscido,
non proprio roccia
o anche no.

Sulla spiaggia, in ogni caso.
Petrolio pietrificato, con una vena di scarlatto,
forse il pezzo di un secchio.

Quando saremo finiti e arriveranno gli alieni
decifrare i nostri fossili:
questa sarà una prova?

Di noi: della nostra storia troppo breve,
della nostra intelligenza, della nostra negligenza,
della nostra morte repentina?

Margaret Atwood, da Moltissimo, traduzione di Renata Morresi, Ponte alle Grazie, 2021

°ascoltando  Gorillaz – Plastic Beach https://www.youtube.com/watch?v=AGM8BMqBcTo

In cerca delle (magiche) istruzioni

apprendista stregone

Produci-consuma-butta: questa sembra essere la formula (non  molto) magica del nostro mondo. E tutto quello che sta nel mezzo (ovvero la vita)  dov’è andato a finire? Chi  lo sa… forse buttato in mare anche quello. Sarà forse arrivato il tempo di cambiare le parole magiche?

L’apprendista stregone

Conoscete la vecchia favola:
una macchina fatta dal diavolo
che riproduce ogni tuo desiderio
grazie a una parola magica

e un qualche idiota desidera del sale,
e giù viene il sale, sempre di più,
ma si scorda di mettere un freno
all’incantesimo per fermarlo

così butta l’attrezzo in mare,
ed ecco perché nel mare c’è il sale.

L’apprendista stregone:
stessa storia:  Va’ che ci vuole,
Fermati è dura.
All’inizio non ci pensi.
Poi Aspetta è troppo tardi.

Nel nostro caso lo stregone è morto,
chiunque sia stato a cominciare,
 e abbiamo perso le istruzioni

e la macchina magica continua a produrre
vomitando montagne di roba
che noi gettiamo tutta in mare
come abbiamo sempre fatto
e questa volta non finirà bene

Margaret Atwood, da Moltissimo (IV sezione), traduzione di Renata Morresi, Ponte alle Grazie, 2021

°ascoltando/guardando Steve Cutts – Manhttps://www.youtube.com/watch?v=ej-dZAlBLHA

È ancora tempo di souvenir?

Souvenir. Questa parola mi ha sempre suscitato un po’ di malinconia, o meglio, un senso di pesante nostalgia. Nostalgia di persone lasciate a casa (a cui portare il souvenir, appunto) oppure lasciate e basta (cioè mai più riviste); e così per i luoghi: quelli mai visitati (da cui arrivava il souvenir) oppure vissuti e rimasti per sempre nel cuore (anche senza bisogno di souvenir). E poi, quella “caccia al souvenir” tipica degli ultimi giorni di una vacanza mi ha sempre infastidito (per la sua vaga somiglianza con lo shopping prenatalizio).

Invece tu, che rapporto hai con l’oggetto-souvenir?

***

Souvenir

Partiamo, riportiamo a casa cose
da quella riva di luna aliena
dove non trovi le stesse pillole di qui,
né il dentifricio o la birra locale.
Queste cose straniere,
comprate ai mercatini, le daremo via:
uncinetti folk, buffi attrezzi da cucina,
troll di legno. Conchiglie, pezzi di roccia.

Stratificano nel nostro bagaglio.
Sono i souvenir  per i nostri amici,
ricordi.

Ma chi deve ricordare cosa?
Carino quel cappellino da gatto, ma non siete mai stati
in quel posto.

Io posso ricordarmi di averlo comprato
e voi ricorderete che io un tempo
ho ricordato: mi ricordai
di qualcosa per voi.
Era un giorno di sole,
anche se afoso. Le bambine con le testoline
e i capelli biondi.

Appaio nei sogni delle altre persone
più spesso di quanto accadeva un tempo.
Qualche volta nuda, mi dicono,
o mentre cucino: pare che io cucini un sacco.
Qualche volta con le sembianze di un vecchio cane
che porta una lettera arrotolata
tra i denti storti, indirizzata a: Presto.
Qualche volta in forma di scheletro
in abito di seta verde.
Sono sempre lì per qualche motivo,
così mi dicono i sognatori;
io non saprei dirlo.

Questo è ciò che ti ho portato
dalla vita dei sogni, dalla riva di luna aliena,
dal luogo senza orologi.
Non è colorato ma possiede dei poteri,
anche se non so quali siano.
O come attivarli.

Eccolo, adesso è tuo.
Ricordami.

Margaret Atwood, da Moltissimo (sezione I), traduzione di Renata Morresi, Ponte alle Grazie, 2021

°ascoltando Hans Zimmer – Time https://www.youtube.com/watch?v=aeVebDUGhis

La danza

infrarosso

Sappiamo ancora danzare? sappiamo ancora agitare le braccia? no, no, non all’happy hour per ordinare ancora da bere, né per litigare nel traffico da bravi automobilisti rabbiosi: semplicemente per invocare la pioggia. Perché  abbiamo consumato letteralmente  all we can eat (and drink) e ora stiamo andando a fuoco: urge una danza della pioggia.

***

Sulle tracce della pioggia

Una nebbia di grasso sottile ingiallisce l’aria,
respiriamo budino caldo.
Le foglie in giardino crepitano
come antico taffetà. Il vecchio giardino.
Un tocco e si sgretolano.
Il prato è da dimenticare –
il vecchio prato –
anche se prosperano i denti di leone:
sopravvissuti ai nostri fragili ibridi.
Le loro radici si stringono all’argilla dura.

Da tutto il giorno esita la pioggia.
Si addensa, si trattiene.
Pigiamo sui nostri schermi touch,
valutando le probabilità
sulle mappe radar: scrosci verdi scorrono
da ovest a est,
svaniscono prima di colpire
il punto che siamo.
Un punto rosso allungato, come una voce da fumetto
senza parole,
come una lacrima a rovescio.
È lì che viviamo adesso,
dentro questo punto
color tostapane acceso;
dentro questa bolla rossa e secca.

Siamo in piedi sul non-prato,
con le braccia tese e la bocca aperta.
Sarà bruciare o annegare?
Anche se abbiamo dimenticato il mantra,
il canto, la danza,
invochiamo un oceano verticale,
azzurro puro, pura acqua.
Lascia che scenda.

Margaret Atwood, da Moltissimo (sezione IV), traduzione di Renata Morresi, Ponte alle Grazie, 2021

°ascoltando Le Orme – Danza Della Pioggiahttps://www.youtube.com/watch?v=-nvZZl5l7Gc

Caspita…

zut

Niente da fare… i poeti resistono!

I poeti resistono

I poeti resistono.
È dura sbarazzarsi di loro,
solo dio sa quanto ci abbiamo provato.
Li oltrepassiamo in strada
lì con il loro piattino per l’elemosina,
un’antica usanza.
Ora non c’è nulla dentro
a parte mosche secche e monetine false.
Guardano fissi avanti.
Sono morti, o cosa?
Hanno l’aspetto irritante
di chi ne sa più di noi.
Di più riguardo a cosa?
Che cosa credono di sapere?
Sputatelo fuori, gli sibiliamo.
Ditelo chiaramente!
Se cerchiamo una semplice risposta,
ecco si fingono pazzi,
o ubriachi, o poveri.
Hanno indossato quei costumi
tempo fa,
quei maglioni neri, quegli stracci;
ora non riescono a toglierli.
E hanno problemi con i denti.
Questo è uno dei loro fardelli.
Dovrebbero farsi un trattamento.
Hanno anche problemi con le ali.
Non otteniamo granché da loro
in questi giorni al dipartimento di volo.
Non più impennate, sfolgorii
né chiasso.
Per cosa diavolo vengono pagati?
(Supponendo che vengano pagati.)
Non riescono a staccarsi da terra,
loro e le loro piume infangate.
Se volano, è verso il basso,
nella terra umida grigia.
Andatevene, diciamo
e portatevi la vostra noiosa tristezza.
Non siete graditi qui.
Avete dimenticato come dirci
quanto siamo sublimi.
Come l’amore sia la risposta:
quella ci è sempre piaciuta.
Avete dimenticato come adulare.
Non siete più saggi.
Avete perso il vostro splendore.
Ma i poeti resistono.
Non sono altro che tenaci.
Non riescono a cantare, non riescono a volare.
Solo saltellano e gracchiano
e sbattono contro l’aria
come se fossero in gabbia,
e raccontano la solita vecchia storia.
Quando interrogati, rispondono
che parlano di quello che devono.
Caspita, se sono pretenziosi.
Loro sanno qualcosa, comunque.
Lo sanno.
Qualcosa che sussurrano,
qualcosa che non riusciamo a sentire del tutto.
Riguarda il sesso?
Riguarda la polvere?
La paura?

Margaret Atwood (Ottawa, 1939), da The door, Virago Press, 2009, traduzione di Eleonora Rao