Salire

“La regola secondo me è: quando sei a un bivio e trovi una strada che va in su e una che va in giù, piglia quella che va in su. È più facile andare in discesa, ma alla fine ti trovi in un buco. A salire c’è più speranza. È difficile, è un altro modo di vedere le cose, è una sfida, ti tiene all’erta”.
Tiziano Terzani, da La fine è il mio inizio

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Ma queste nostre strade sono sempre in salita? O forse a volte siamo già sulla cima e non ce ne accorgiamo (in fondo l’aria attorno a noi è già cielo).

Per salire al cielo

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Per salire al cielo occorrono
due ali
un violino
e tante cose infinite,
ancora non nominate,
certificati di occhio lungo e lento,
iscrizioni sulle unghie del mandorlo,
titoli dell’erba nel mattino.

Pablo Neruda, tratto da Stravagario.

 

Il cielo

Da qui si doveva cominciare: il cielo.
Finestra senza davanzale, telaio, vetri.
Un’apertura e nulla più,
ma spalancata.

Non devo attendere una notte serena,
né alzare la testa,
per osservare il cielo.
L’ho dietro a me, sottomano e sulle palpebre.
Il cielo mi avvolge ermeticamente
e mi solleva dal basso.

Perfino le montagne più alte
non sono più vicine al cielo
delle valli più profonde.
In nessun luogo ce n’è più
che in un altro.
La nuvola è schiacciata dal cielo
inesorabilmente come la tomba.
La talpa è al settimo cielo
come il gufo che scuote le ali.
La cosa che cade in un abisso
cade da cielo a cielo.

Friabili, fluenti, rocciosi,
infuocati e aerei,
distese di cielo, briciole di cielo,
folate e cumuli di cielo.
Il cielo è onnipresente
perfino nel buio sotto la pelle.

Mangio cielo, evacuo cielo.
Sono una trappola in trappola,
un abitante abitato,
un abbraccio abbracciato,
una domanda in risposta a una domanda.

La divisione in cielo e terra
non è il modo appropriato
di pensare a questa totalità.
Permette solo di sopravvivere
a un indirizzo più esatto,
più facile da trovare,
se dovessero cercarmi.
Miei segni particolari:
incanto e disperazione.

Wisława Szymborska, da La fine e l’inizio (1993), in La gioia di scrivere – Tutte le poesie (1945-2009), traduzione di Pietro Marchesani.

*Che cosa ascoltare? Bob Dylan – Knockin’ on the Heaven’s Door, Led Zeppelin – Stairway to Heaven, e poi?

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Anima e corpo

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Quando la poesia nasce da un sentimento profondamente passionale e da un’intensità sia spirituale che fisica.

Bianca ape…

Bianca ape, ebbra di miele, ronzi nella mia anima
E ti avvolgi in spirali lentissime di fumo.

Io sono il disperato, la parola senz’ eco,
quegli che ha perso tutto, dopo aver tutto avuto.

Sei la fune in cui cigola la mia ultima brama.
Nel mio deserto vivi come l’ultima rosa.

Ah silenziosa!

Chiudi gli occhi profondi dove aleggia la notte,
E denuda il tuo corpo di statua timorosa.

Possiedi occhi profondi dove vola la notte,
fresche braccia di fiori ed un grembo di rosa.

I tuoi seni assomigliano alle conchiglie bianche.
E sul tuo ventre dorme una farfalla d’ombra.

Ah silenziosa!

Con me è la solitudine da cui tu sei lontana.
Piove. Il vento del mare caccia erranti gabbiani.

L’acqua cammina scalza per le strade bagnate.
Le foglie di quell’albero gemono come infermi.

Bianca ape assente, ancora ronzi nella mia anima.
Risusciti nel tempo, sottile e silenziosa.

Ah silenziosa!

Pablo Neruda, da Venti poesie d’amore e una canzone disperata, traduzione di Roberto Paoli, 1924.

 

Nel gran caldo

Nel gran caldo ti penso
te nuda
il tuo collo i tuoi polsi
il tuo candido piede è una piuma d’uccello posata sul letto
le parole che tu dici a me.

Nel gran caldo ti penso
non so più di che cosa di più mi ricordo
e che cosa di più sotto gli occhi mi scorre
il tuo collo i tuoi polsi il tuo piede
le parole che tu dici a me che sei mia?

Nel gran caldo rovente ti penso
nel gran caldo rovente una stanza d’albergo ti penso
di me solo mi spoglio
di quel solo che un poco somiglia alla morte.

10 luglio 1959

Nâzim Hikmet, da Poesie sparse,  in Poesie d’amore e di lotta, Mondadori.

 

14°

Mi strugge l’anima perdutamente
il desiderio d’una donna viva,
spirito e carne, da poterla stringere
senza ritegno e scuoterla, avvinghiato
il mio corpo al suo corpo sussultante,
ma poi, in altri giorni più sereni,
starle d’accanto dolcemente, senza
più un pensiero carnale, a contemplare
il suo viso soave di fanciulla,
ingenuo, come avvolto in un dolore
e ascoltare la sua voce leggera
parlarmi lentamente, come in sogno…

24 ottobre 1925

Cesare Pavese, da Prima di “Lavorare stanca” 1923-1930, in Le poesie, Einaudi.

*ascoltando Tango Gotan Project Milonga De Amor https://www.youtube.com/watch?v=77fmgTI5Cn4