Cortázar invece dei cioccolatini

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Visto che si avvicina San… San… come si chiama? ma sì dai,  l’odiata/amata giornata di cuori, cioccolatini e rose, ne approfitto per proporre tre poesie di Julio Cortázar (qui alcune sue pagine di prosa http://lapoesianonsimangia.myblog.it/2018/01/05/in-bicicletta-fuori-tema-n-9/; http://lapoesianonsimangia.myblog.it/2017/12/30/cose-difficili/  http://lapoesianonsimangia.myblog.it/2017/12/22/i-pensieri-dellacqua/; http://lapoesianonsimangia.myblog.it/2017/02/27/un-tiranno/), poesie in tema più che altro con le spine delle rose. Sono proprio le poesie, infatti (queste ma anche  altre), che mi hanno fatto interessare a questo autore  prima ancora di sapere chi fosse: poesie appassionate e disperate, di una passione e disperazione che arriva addosso come un treno e graffia anche il più felice e pacifico dei lettori.
(Buona prossima giornata di San… San… insomma, lui).

Il Futuro

E so molto bene che non ci sarai.
Non ci sarai nella strada,
non nel mormorio che sgorga di notte
dai pali che la illuminano,
neppure nel gesto di scegliere il menù,
o nel sorriso che alleggerisce il “tutto completo” delle sotterranee,
nei libri prestati e nell’arrivederci a domani.

Nei miei sogni non ci sarai,
nel destino originale delle parole,
né ci sarai in un numero di telefono
o nel colore di un paio di guanti, di una blusa.
Mi infurierò, amor mio, e non sarà per te,
e non per te comprerò dolci,
all’angolo della strada mi fermerò,
a quell’angolo a cui non svolterai,
e dirò le parole che si dicono
e mangerò le cose che si mangiano
e sognerò i sogni che si sognano
e so molto bene che non ci sarai,
né qui dentro, il carcere dove ancora ti detengo,
né là fuori, in quel fiume di strade e di ponti.
Non ci sarai per niente, non sarai neppure ricordo,
e quando ti penserò, penserò un pensiero
che oscuramente cerca di ricordarsi di te.

 

Liquidazione di saldi

Mi sento morire, in te, attraversato da spazi che crescono,
farfalle affamate che mi mangiano, appena vivo,
con le labbra aperte dove risale il fiume della dimenticanza.
E tu con delicate pinze di pazienza mi strappi
i denti, le ciglia, mi denudi
Del trifoglio della tua voce, dell’ombra del desiderio
Vai aprendo in mio nome finestre allo spazio
E fori azzurri nel mio petto
Da cui le estati fuggono lamentandosi
Trasparente, affilato, intessuto d’aria
Fluttuo nel dormiveglia, e ancora
Dico il tuo nome e ti sveglio d’angoscia
Però tu ti sforzi e mi dimentichi
Già sono appena la liquida bolla dell’aria
Che ti riflette, che distruggerai
Con un solo palpebrìo.

 

Incarico

Non mi dar tregua, non perdonarmi mai.
Fustigami nel sangue, che ogni cosa crudele sia tu che ritorni.
Non mi lasciar dormire, non darmi pace!
Allora conquisterò il mio regno,
nascerò lentamente.
Non mi perdere come una musica facile, non essere carezza né guanto;
intagliami come una selce, disperami.
Conserva il tuo amore umano, il tuo sorriso, i tuoi capelli. Dalli pure.
Vieni da me con la tua collera secca, di fosforo e squame.
Grida. Vomitami arena nella bocca, rompimi le fauci.
Non mi importa ignorarti in pieno giorno,
sapere che tu giochi, faccia al sole e all’uomo.
Dividilo.

Io ti chiedo la crudele cerimonia del taglio,
ciò che nessuno ti chiede: le spine
fino all’osso. Strappami questa faccia infame,
obbligami a gridare finalmente il mio vero nome.

Julio Cortazar, da Le ragioni della collera, Edizioni Fahrenheit 451, traduzione di G. Toti

 

*ascoltando l’altrettanto graffiante voce di Janis Joplin in Kozmic Blues https://www.youtube.com/watch?v=nLN72sR9w0M