La “civiltà” terrestre

Stop War

Che cosa diremo?

(… ma soprattutto, che cosa diranno quelli dopo di noi?)

 

Notizia

Della civiltà terrestre che diremo?

Che era un sistema di sfere colorate, di vetro affumicato,
dove si avvolgeva e svolgeva il filo di liquidi luminescenti.

O un agglomerato di palazzi raggiformi
svettanti da una cupola coi portali inchiavardati
dietro cui camminava un orrore senza volto.

E che ogni giorno si gettavano i dadi, e a chi capitava un numero basso
veniva condotto al sacrificio: vecchi, bambini, ragazzi e ragazze.

O forse diremo così: che abitavamo in un vello d’oro,
in una rete iridescente, nel bozzolo di una nuvoletta
appeso al ramo d’un albero galattico.
E questa nostra rete era intessuta di segni:
geroglifici per l’occhio e l’orecchio, anelli d’amore.
E risuonava al suo interno un suono, che ci scolpiva il tempo,
il tremolio, il garrito, il cinguettio della nostra favella.

E con che cosa potevamo tessere il confine
fra il dentro e il fuori, la luce e l’abisso,
se non con noi stessi, il nostro caldo respiro,
il rossetto, lo chiffon e la mussola,
col battito, che quando tace muore il mondo?

O forse della civiltà terrestre non diremo nulla.
Perché cosa fosse non lo sa realmente nessuno.

                  Berkeley, 1973


 

Czesław Miłosz (1911, Lituania – 2004, Cracovia), da Da dove sorge e dove tramonta il sole, in Poesie, a cura di Pietro Marchesani, Adelphi, 2013

 

In mezzo al cielo

20190824_193144-1

Per il mio dodicesimo compleanno mi regalarono due musicassette: una era di John Lennon e l’altra di Claudio Baglioni. Mi innamorai della musica di entrambi (e anche di Baglioni, come molte delle dodicenni nate negli anni ’70).

Oggi John Lennon mi fa ancora compagnia, Baglioni invece non molto (ma lo ringrazio comunque) però c’è un particolare che non dimenticherò mai: il “gancio in mezzo al cielo” di “Strada facendo”! All’epoca non avevo grande  dimestichezza con le metafore e ‘sto gancio in mezzo al cielo proprio non riuscivo a capirlo. Molti anni dopo anche mia figlia, sentendo  quella canzone, mi ha chiesto:  “Ma il gancio in mezzo  al cielo che cosa sarebbe?”.  Abbiamo riso per venti minuti.

Adesso mi capita spesso  di pensare che di un gancio in mezzo al cielo ci sarebbe davvero bisogno. E di sicuro non sono l’unica.

Il cielo

Da qui si doveva cominciare: il cielo.
Finestra senza davanzale, telaio, vetri.
Un’apertura e nulla più,
ma spalancata.

Non devo attendere una notte serena,
né alzare la testa,
per osservare il cielo.
L’ho dietro a me, sottomano e sulle palpebre.
Il cielo mi avvolge ermeticamente
e mi solleva dal basso.

Perfino le montagne più alte
non sono più vicine al cielo
delle valli più profonde.
In nessun luogo ce n’è più
che in un altro.
La nuvola è schiacciata dal cielo
inesorabilmente come la tomba.
La talpa è al settimo cielo
come il gufo che scuote le ali.
La cosa che cade in un abisso
cade da cielo a cielo.

Friabili, fluenti, rocciosi,
infuocati e aerei,
distese di cielo, briciole di cielo,
folate e cumuli di cielo.
Il cielo è onnipresente
perfino nel buio sotto la pelle.

Mangio cielo, evacuo cielo.
Sono una trappola in trappola,
un abitante abitato,
un abbraccio abbracciato,
una domanda in risposta a una domanda.

La divisione in cielo e terra
non è il modo appropriato
di pensare a questa totalità.
Permette solo di sopravvivere
a un indirizzo più esatto,
più facile da trovare,
se dovessero cercarmi.
Miei segni particolari:
incanto e disperazione.

Wisława Szymborska, da La fine e l’inizio (1993), in La gioia di scrivere – Tutte le poesie (1945-2009), traduzione di Pietro Marchesani.

*ascoltando Claudio Baglioni – Strada facendo https://www.youtube.com/watch?v=TBU55Emimcw