Dov’è?

montagna

A quanti viaggi può dar vita una poesia?
Qual è la destinazione di una poesia?
E ancora: dov’è finita la poesia?*
 ***

La poesia che prese il posto di un monte

Era là, parola per parola,
La poesia che prese il posto di un monte.

Ne respirava l’ossigeno
Persino quando il libro stava voltato nella polvere del tavolo.

Gli ricordava come avesse avuto bisogno
Di un luogo da raggiungere nella direzione sua,

Come avesse ricomposto i pini,
Spostato le rocce e trovato un sentiero tra le nuvole,

Per arrivare al punto d’osservazione giusto,
Dove sarebbe stato completo di una consapevolezza inspiegata:

La roccia esatta dove le sue inesattezze
Scoprissero infine la vista che erano andate guadagnando,

Dove potesse coricarsi e, fissando il mare in basso,
Riconoscere la sua casa unica e solitaria.

Wallace Stevens (Pennsylvania, 1897-1955), da
Il mondo come meditazione, traduzione di Massimo Bacigalupo, Guanda, 1998

*ascoltando Davide Di Rosolini – Che fine ha fatto la poesiahttps://www.youtube.com/watch?v=A3oXTQCWzxE

Dalla finestra

portovenerejpg
Ti sei accort* di qualcosa che non avevi mai notato prima, oggi,
guardando dalla finestra?

***

Le finestre

Non so se era l’alba
o la sera
forse mezzanotte
non so. 
Tutte le finestre della mia vita
sono rientrate alla mia stanza
con tendine e senza tendine
mi piacciono le tendine di cotone
ma ce n’erano anche di tulle
 e stoini neri
li tiravo e li lasciavo
e li tiravo di nuovo
qualcuno non è più sceso
qualcuno non è più salito
e finestre con i vetri rotti
mi son ferito a una mano
e qualcuna senza vetri.
Le finestre senza vetri mi commuovono
come gli occhiali senza lenti.

Le finestre.
La pioggia faceva colare sui vetri
i suoi capelli rossigni, lunghi e tristi.
Con la sigaretta incollata al labbro
io dentro di me canticchiavo.
Mi piace la voce della pioggia
più che la mia.

Le finestre.
Al quinto piano nel vuoto assolato che le circonda
un mare
un mare in pietra blu da anello.
L’ho messo dolcemente al mignolo
e l’ho baciato tre volte piangendo
e tre volte l’ho portato alla fronte.

Le finestre.
Son sceso dal letto avvolto in coperte dai lunghi peli.
Ho messo il mio naso di fanciullo sul vetro appannato.
La stanza era calda 
 e c’era l’odore di mia madre giovane.
Fuori nevicava
e io avevo il morbillo.

Le finestre.
Non so se era l’alba
forse mezzanotte
non so.
Le stelle erano nella mia stanza
e come le farfalle di notte
battevano sui vetri.
Attento a non toccarle
vi ho aperto, finestre,
e ho lasciato andare le stelle alla notte
alla notte chiara senza confini e libera
dove passavano le lune artificiali.

Le finestre.
I lupi sono sotto la luna 
malati di fame
i lupi sono davanti alla mia finestra.
Anche se chiudo le tende pesante di velluto
so che i lupi sono là
e mi guardano.

Le finestre.
All’alba mi allontano sulla strada deserta.
Le finestre mi guardano alle spalle.
Soltanto esse sanno che non ritornerò la sera.

Le finestre.
Sono caduto da una finestra guardando una bella.
La gente ride di me.
La bella non si è neanche voltata per guardarmi.
Forse non se n’era nemmeno accorta.

Le finestre.
Le finestre.
Le finestre di quaranta case
son rientrate alla mia stanza.
Mi sono seduto su una di esse
e ho dondolato i piedi alle nuvole.
potevo dire
forse io sono felice.

 1958

Nazim Hikmet (Salonicco, 1902-1963), da Poesie, traduzione di Joyce Lussu e Velso Mucci, Grandi Tascabili Economici Newton 2002

°ascoltando  Leonard Cohen – The Windowhttps://www.youtube.com/watch?v=FQ8ThThoI14