L’ultimo appuntamento (tristissimo fuori tema)

 

Dice la PM:  “Donne, non andate mai all’ultimo appuntamento, all’appuntamento chiarificatore!”

Sì, ci può stare come consiglio accorato in casi di precedenti segnali allarmanti da parte di un uomo, ma non può essere l’unica linea di prevenzione, perché è un po’ come dire che, potenzialmente, tutti gli uomini potrebbero “essere colti da un raptus di follia” e uccidere o violentare la donna che ha il coraggio di andare a quell’ultimo appuntamento e poi qualcuno potrebbe insinuare, ancora una maledetta volta: “ma lei se l’è cercata, perché l’uomo, se stressato,  rifiutato,  messo sotto pressione, si sa, ve l’avevamo detto…  vi può anche fare del male.

No, non può essere solo una responsabilità delle donne che danno o non danno fiducia all’uomo. Si può consigliare di non nuotare nelle acque infestate dagli squali, o non andare da soli  nei boschi perché c’è la possibilità di incontrare un lupo (sì, squali e lupi, se stressati, minacciati, messi sotto pressione, per loro natura e istinto, reagiscono uccidendo).
Ma gli uomini non sono (non dovrebbero essere) squali né lupi.

(i.m. – giugno 2023)

Tornare a scorrere (fuori tema n. 24)

scorrere

Di solito si è spugna senza sapere di esserlo.
Scoprire di essere stati spugna per buona parte della propria vita è doloroso perché la consapevolezza dà vita a uno stravolgimento profondo.

Ma si tratta di guarire e tornare a scorrere.

***

Sono stata spugna.
Per molti anni, quasi tutta la giovinezza, appena incontravo qualcuno, ero spugna.
L’avevo imparato nell’infanzia. Stai lì e assorbi tutto.
Non so come, ma quando si incontra una spugna, gli altri si sentono invitati a parlare moltissimo. Quando poi se ne andavano, ero stanchissima e opaca, completamente
senza riflesso. Certe volte andavo a dormire raggomitolata sotto il piumino e quando provavano a svegliarmi mi lamentavo e mi ci avvolgevo ancora più stretta, come in un bozzolo. Quando una volta finalmente mi chiesero: «Ma cos’hai? Sei malata?» Risposi
solo: «Ho visto gente». E allora compresi che era ora di finirla.
Per un po’ mi chiusi a riccio: non volevo più vedere nessuno.
Poi, dopo anni di India, di tecniche di meditazione e di approdo a comprendere che stare con il respiro non è una tecnica ma una storia d’amore, mi sono tramutata, piano piano, con lenta costruzione, in fontana.
Posso ancora ascoltare, ma solo finché c’è acqua che scorre e la fontana non trabocca. Ma soprattutto, la fontana è lì a disposizione, chi vuole ci va a bere e lei non assorbe niente, scorre. Il cuore non è spugna, è fontana.

Chandra Livia Candiani, da Questo immenso non sapere, Einaudi

°ascoltando Ludovico Einaudi- Waterwayshttps://www.youtube.com/watch?v=f01DFAfNKXI

 

(Qui, per leggere altri Fuori Tema)

Lista delle cose da fare: 12 – resistere e risalire

(Ancora una volta. E ancora, e ancora, se serve.)

 

Per quando stai toccando il fondo

Sei sopravvissuto a tutto quello che hai dovuto passare e sopravviverai anche a questo. Rimani qui per la persona che diventerai. Tu sei più di una giornata nera, una settimana nera, un mese, un anno, anche dieci anni neri. Sei un futuro di possibilità multiformi. Sei un altro te stesso, di un tempo a venire, che ripensa con gratitudine a questo te stesso che si era perso, ma non ha mollato. Rimani.

Matt Haig, da Parole di conforto, traduzione di Elisa Banfi, Edizioni e/o, 2021

♥ ascoltando Don’t Give Up (cover di Willie Nelson con Sinéad O’Connor) – https://www.youtube.com/watch?v=gO6fAJcN89k

Va bene così (fuori tema n. 23)

Va bene così. Perché siamo persone, non siamo aziende: non dobbiamo essere sempre produttivi,  competitivi, super competenti e  perennemente (e talvolta anche ommioddiochepesantezza! “cool”.
Perché a volte è lecito sentirsi un vaso rotto (ma solo se siamo noi a pensarlo di noi stessi: nessun altro ha il diritto di farci sentire un vaso rotto!)

***

Va bene essere a pezzi.

Va bene portare le cicatrici dell’esperienza.

Va bene essere messi male.

Va bene essere una tazza sbeccata. È la tazza che ha una storia.

Va bene  essere sentimentali e stravaganti e commuoversi fino alle lacrime per canzoni e film che non dovrebbero neanche piacerti.

Va bene che ti piaccia quello che ti piace.

Va bene che una cosa ti piaccia per il semplice fatto che ti piace, e non perché è fantastica o ingegnosa e perché piace a tutti.

Va bene lasciare che siano gli altri a trovarti. Non sei costretto a farti in quattro finché i pezzi diventano così piccoli che non si vedono nemmeno. Né devi essere sempre tu  a fare il primo passo. Qualche volta puoi aspettare che siano gli altri a venire da te. Come disse la grande scrittrice Anne Lamott: “I fari non corrono da una parte all’altra dell’isola, alla ricerca di barche da salvare; restano fermi e fanno luce”.

Va bene non sfruttare al meglio ogni istante del tuo tempo.

Va bene essere come sei.

Va bene.

Matt Haig, da Parole di conforto, Edizioni e/o, 2021

♥ ascoltando Gianmaria Testa – Sei la conchiglia https://www.youtube.com/watch?v=S7y9CMU2Tag

Certe mattine (fuori tema n.22)

In questo tempo di fragilità incalzante (ma anche in ogni tempo), certe mattine può capitare (sì, sì, può capitare davvero!)
di sentirsi più fragili del solito:

 

(…) “Certe mattine ci si sveglia come se si fosse fatti di un materiale friabile, basta un soffio, un piccolo gesto maldestro per svanire del tutto. È meglio accorgersene al più presto e, parlandosi con estrema delicatezza, accompagnarsi al silenzio. Mettere a tacere senza violenza le voci e i commenti, poi alzarsi con molta cautela come un animaletto di vetro sottilissimo e non lasciarsi mai soli, accompagnando ogni gesto e chiedendo delicatamente il silenzio. Lavarsi, vestirsi, fare colazione molto lentamente, con una grazia intenta, come fossero piccoli rituali segreti, come se tutto il mondo fosse diventato delicatissimo. Sedersi senza commento alcuno, ascoltare il respiro continuando a trascurare i pensieri che interferiscono, le voci acuminate. Fa tutto male, ma si può imparare ad avere a che fare con i grandi ustionati.”(…)

Chandra Livia Candiani, da Questo immenso non sapere, Einaudi, 2021

 

Parole lisce o gassate? (Fuori tema n.21)

Immagino le parole  (che le persone si scambiano) come un bicchiere d’acqua:  apparentemente è solo acqua, ma a volte è acqua gassata e, agitandola un po’, si vedono le bollicine. Così le parole: sembra che esprimano solo un significato liscio e letterale, ma, muovendole un po’ con il pensiero, a volte si scoprono le bolle di un sottotesto. E queste saranno molto più forti delle parole stesse.

Capita anche di bere dell’acqua decisamente troppo gassata.

***

Sono un’esperta di sottotesti. Ho studiato alla scuola della crudeltà. E in città. In mezzo alle buone maniere. Ai discorsi intelligenti. Alle adulazioni e ai sottili razzismi. Mi sono sentita indifesa e sguarnita, finché non ho imparato l’indelebile arte della decifrazione. Gli animali ti assalgono, ti azzannano, ti pungono, ti graffiano, ti minacciano. Di recente, in una via cittadina, ho visto un cane legato con il guinzaglio a un palo, era umiliato e furente. Mi sono avvicinata, gli ho parlato un momento, poi ho fatto per allungare discretamente una mano verso di lui. Mi ha mostrato i denti e ha rinviato. L’ho salutato e me ne sono andata pensando: “Che gentile! Mi ha subito avvertito, stai in là, sono furibondo”.

Chandra Livia Candiani, da Questo immenso non sapere, Einaudi, 2021

“Amarcord” (fuori tema n.20)


Qual è il sapore, o il profumo, che più di ogni altro ti rimanda piacevolmente indietro nel (tuo) tempo?

 

***

“(…) E poco dopo, sentendomi triste per la giornata cupa e la prospettiva di un domani doloroso, portai macchinalmente alle labbra un cucchiaino del tè nel quale avevo lasciato inzuppare un pezzetto di madeleine. Ma appena la sorsata mescolata alle briciole del pasticcino toccò il mio palato, trasalii, attento al fenomeno straordinario che si svolgeva in me. Un delizioso piacere m’aveva invaso, isolato, senza nozione di causa. E subito, m’aveva reso indifferenti le vicessitudini, inoffensivi i rovesci, illusoria la brevità della vita…non mi sentivo più mediocre, contingente, mortale. Da dove m’era potuta venire quella gioia violenta? Sentivo che era connessa col gusto del tè e della madeleine. Ma lo superava infinitamente, non doveva essere della stessa natura. Da dove veniva? Che senso aveva? Dove fermarla? Bevo una seconda sorsata, non ci trovo più nulla della prima, una terza che mi porta ancor meno della seconda. E tempo di smettere, la virtù della bevanda sembra diminuire. È chiaro che la verità che cerco non è in essa, ma in me. È stata lei a risvegliarla (…)”

Marcel Proust (Parigi, 1871-1922), da Dalla parte di Swann, in Alla ricerca del tempo perduto

 

♣ ascoltando Gino Paoli – Sapore di Sale (live) https://www.youtube.com/watch?v=jzpOTjXGG6A

(altri fuori tema si trovano  qui: https://lapoesianonsimangia.myblog.it/category/fuori-tema/)

Quello che non facciamo (fuori tema n.19)

000

Ci sono cose  che immaginiamo di fare ma che non facciamo mai, intenti che disattendiamo, progetti che rimarranno tali. Sono come le ombre: assolutamente “visibili” ma impalpabili.
Ma guai se non ci fossero (anche) queste cose che non facciamo.

Le cose che non facciamo

Mi piace che non facciamo le cose che non facciamo. Mi piacciono i nostri progetti al risveglio, quando il giorno sale sul nostro letto come un gatto di luce, e che non realizziamo perché ci alziamo tardi per esserceli immaginati tanto. Mi piace il solletico che trasmettono ai nostri muscoli gli esercizi che enumeriamo senza eseguirli, le palestre dove non andiamo mai, le abitudini sane che invochiamo come se, desiderandole, il loro splendore si riflettesse su di noi. Mi piacciono le guide di viaggio che sfogli con quell’attenzione che tanto ammiro in te, con i loro monumenti, strade e musei dove non mettiamo mai piede, incantati da un caffelatte. Mi piacciono i ristoranti che non frequentiamo, le luci delle loro candele, il sapore fantasticato dei loro piatti (…). Mi piacciono tutti i propositi, dichiarati o segreti, che disattendiamo insieme. È questo che preferisco della vita a due. La meraviglia aperta sull’altrove. Le cose che non facciamo.

Andrés Neuman, da Le cose che non facciamo, Sur, 2016, traduzione di Silvia Sichel

⇒ ascoltando Nick Drake – One Of These Things First https://www.youtube.com/watch?v=TOv5NAhLbms

(altri fuori tema si trovano qui: https://lapoesianonsimangia.myblog.it/category/fuori-tema/)

Alla deriva? (Fuori tema n. 18)

Foto di Tobias Kamischke, da https://www.instagram.com/tekkify/

Foto di Tobias Kamischke, da https://www.instagram.com/tekkify/

Sei alla deriva? Prova a cercare un segno!

Un segno, sì. Un po’ come  fa Jeff, il protagonista del film “A Casa Con Jeff” (di Jay Duplass e Mark Duplass, con Susan Sarandon): Jeff è un trentenne che, utilizzando l’universo come sua guida, cerca dei segni per stabilire la propria strada e dare un senso alla propria vita.

Senza diventare dei fanatici della serendipità (termine coniato da Horace Walpole, con cui egli indicava quella “qualità per cui si fanno, per incidente o per sagacia, continue scoperte di cose che non si cercavano”) o della sincronicità (che fu evidenziata da Carl Gustav Jung come il  fenomeno per cui eventi mentali e fisici sono correlati tra loro, senza rapporto di causa ed effetto, in un breve lasso temporale quasi coincidenziale, per senso e significato),  si potrebbe andare alla ricerca di “segni” sperimentando il  Gioco della deriva di cui ci parla lo psicoterapeuta Paolo Maria Clemente nel libro La deriva – Istruzioni per perdersi:

“Lo sfruttamento non è l’unica possibilità di rapporto con l’ambiente. Esiste un modo alternativo di porsi nei suoi confronti che comporta il passaggio dalla logica del dominio a quella del rispetto. Il primo passo da compiere è considerare la zona circostante come la nostra interfaccia con l’universo. […] Nella vita infatti non abbiamo mai a che fare con l’universo intero, ma sempre e soltanto con quella piccola bolla di realtà che ci circonda; reciprocamente, l’universo si rapporta a noi usando il luogo dove ci troviamo. Chiamiamo “Zona” questa minuscola porzione di realtà che ci segue ovunque andiamo: è con essa – e soltanto con essa – che entriamo in rapporto, e lo facciamo costantemente, pur senza rendercene contro. […] Il senso di questa pratica […] risiede nel fatto  stesso che il mondo inanimato stia comunicando, perché ciò significa che intorno a noi c’è qualcosa di vivo con cui è possibile entrare in relazione. […] Scegli una via qualsiasi della tua città e guardati intorno. Ignora tutto ciò che è stato messo lì a bella posta per stupirti, come un monumento o un’installazione artistica; […] contano solo i piccoli eventi che si verificano proprio quando passi tu: una foglia che cade, un gatto che sbuca da una siepe, un rumore improvviso. Tra le cose che accadono intorno a te, scegli la prima che attira la tua attenzione e muoviti in quella direzione finché non giungi davanti a un bivio. Aspetta, non scegliere subito dove andare […] guarda l’ambiente circostante come se fossi un alieno. Prima o poi un evento accidentale ti farà capire quale strada imboccare […] alla fine la cosa più importante non sarà dove ti avrà condotto il caso, ma il fatto di aver instaurato una comunicazione con l’ambiente circostante (la Zona)”.

Paolo Maria Clemente ha  intitolato  il suo libro La deriva, in onore di Guy Debord, il primo che negli anni ’50 ne ipotizzò una qualche esistenza e che dava questi consigli proprio su come affrontare una deriva:

“Per fare una deriva, andate in giro a piedi senza meta od orario. Scegliete man mano il percorso non in base a ciò che sapete, ma in base a ciò che vedete intorno. Dovete essere straniati e guardare ogni cosa come se fosse la prima volta. Un modo per agevolarlo è camminare con passo cadenzato e sguardo leggermente inclinato verso l’alto, in modo da portare al centro del campo visivo l’architettura e lasciare il piano stradale al margine inferiore della vista. Dovete percepire lo spazio come un insieme unitario e lasciarvi attrarre dai particolari.”

Il Gioco della Deriva sembrerebbe quindi un modo rigenerante e avventuroso di esplorare, di “stimolare” il mondo e, soprattutto, di riceverne stimoli. E se arrivasse quel famoso segno… speriamo sia incoraggiante!

(…) Alla deriva
c’è invece il mare il mare aperto infinito
alla deriva
c’è finalmente la vita
filtrata digerita
c’è la leggerezza
del corpo vuoto.

Salvatore Toma, dalla poesia Alla deriva, in Canzoniere della morte, Einaudi 1999

♥ ascoltando Kronos Quartet – I See the Sign https://www.youtube.com/watch?v=N0n2NX_6WUE

La quota d’amore (fuori tema n.17)

scritte sui muri

“Dove lo prendi tu, l’amore che ti serve?”
Giro, a te che stai leggendo, questa domanda
che appartiene alle pagine intense riportate (in parte) qui sotto.

(…) Dove lo prendi tu, l’amore che ti serve? […]

– Tutti abbiamo bisogno di una quota d’amore al giorno, – mi guarda, – senza quel minimo cadi in depressione e ti ammali, è come un piano dietetico, devi assumere energie, comunque le prendi, anche a pezzi, a intervalli, in modo discontinuo. A volte raccogli un mucchio di amore tutto in un punto, e per un po’ sei a posto […] altre volte raccatti briciole qua e là, metti insieme e impasti, ma ti basta appena per un giorno –. Le faccio segno di sì, la seguo.

– Tu non fai mai l’accattona? A rovistare tra i resti, fra gentilezze buttate a caso, nemmeno rivolte a te, o fra ricordi ancora buoni, li rimaneggi e stai  un po’ meglio?

Non ci avevo mai pensato in questi termini.

– Nei tempi di magra, quando finiscono le riserve, ti aiuta avere le tue risorse, quelle segrete, i tuoi granai.[…]– Ognuno di noi ha una partenza diversa, perché è diverso il capitale iniziale, – dice –.

– I bambini molto amati saranno adulti meno affamati di amore, hanno le loro riserve organiche, e chi invece non è stato amato, o amato male, avrà per sempre una specie di fame nervosa, un ammanco che non puoi colmare, e anche se costruirai un legame farai i conti con questo buco dentro, insaziabile, criminale, uno spasmo che brucia il fegato, la gola […] se non stai in guardia ti riassorbe e ti fagocita nello stesso gorgo, senz’aria e senza luce […]. Dobbiamo rabberciare, – ha detto e finalmente ha respirato. – Ricalibrare […] L’amore puoi prenderlo dagli altri, – ha detto, – anche quando non se ne accorgono. Anzi  è meglio, non c’è bisogno che loro ti vogliano bene, per fortuna. (…)

da Elvira Seminara,  I segreti del giovedì sera, Einaudi, 2020, pp. 45-47

ascoltando Ezio Bosso – Sunrise on a clear day https://www.youtube.com/watch?v=s5b3HE1NwuI

(Per gli altri fuori tema, qui)