Cose difficili

un sasso verso il cielooooooooooooooooooooooooooo

Ancora alcune righe di Julio Cortázar sospese tra prosa e poesia.
(Far risalire un sassolino al cielo è un’impresa non da poco, non tutti ci riescono).

La Rayuela (Il gioco del mondo) si gioca con un sassolino che bisogna spingere con la punta della scarpa. Ingredienti: un marciapiedi, un sassolino e un bel disegno fatto col gessetto, preferibilmente a colori. In alto sta il cielo, sotto sta la terra, è molto difficile arrivare con il sassolino al cielo, quasi sempre si fanno male i calcoli e il sassolino esce dal disegno. Poco a poco, nonostante tutto, si comincia ad acquisire la necessaria abilità per salvare le diverse caselle, (Rayuela chiocciola, Rayuela rettangolare, Rayuela fantasia, poco usata) e un giorno si impara a uscire dalla terra e a far risalire il sassolino fino al cielo, fino ad entrare nel cielo (…), il brutto è che proprio a quel punto, quando quasi nessuno ha ancora imparato a far risalire il sassolino fino al cielo, finisce di colpo l’infanzia e si casca nei romanzi, nell’angoscia da due soldi, nella speculazione di un altro cielo al quale bisogna comunque imparare ad arrivare. E siccome si è usciti dall’infanzia… ci si dimentica che per arrivare al cielo si ha bisogno di questi ingredienti, un sassolino e la punta di una scarpa.

Julio Cortázar (Bruxelles, 26 agosto 1914 – Parigi, 12 febbraio 1984), da Rayuela, 1963

* ascoltando Remember the days of the old schoolyard – Cat Stevens https://www.youtube.com/watch?v=iFwDEqLQ0bA

I pensieri dell’acqua

acqua

Non sono  poesie i due brani di oggi, ma della poesia hanno molto: e viene facile capire i desideri di un fiocco di neve  o di una goccia d’acqua.  Non convenzionale e appassionato, Julio Cortázar (scrittore argentino, 1914-1984) sa catturare il lettore sia con le sue poesie che con la prosa.

Peripezie dell’acqua

Basta conoscerla abbastanza per capire che l’acqua è stanca di essere un liquido. Lo dimostra il fatto che appena si presenta l’opportunità si trasforma in ghiaccio o in vapore. Ma neanche cosí è soddisfatta, il vapore si perde in assurde divagazioni e il ghiaccio è goffo e grezzo, si sistema dove può e in genere serve solo a dare vivacità ai pinguini e al gin tonic. Perciò l’acqua preferisce la delicata neve, che l’aiuta ad avverare la sua speranza piú segreta: quella di fissare la forma di tutto ciò che non è acqua, le case, i prati, le montagne, gli alberi.
Penso che potremmo aiutare la neve nella sua ciclica ma effimera battaglia, e scegliere, per fare ciò, un albero, un nero scheletro sulle cui numerose braccia scende a insediarsi la replica bianca e perfetta. Non è facile, ma se in previsione di una nevicata segassimo il tronco in modo che l’albero si tenesse in piedi senza accorgersi di essere morto, come quel mandarino memorabilmente decapitato da un boia gentile, basterebbe aspettare che la neve replicasse l’albero in ogni suo dettaglio e quindi levarlo dal suo posto senza scuoterlo, con un lieve e perfetto spostamento.
Non credo che la forza di gravità riesca a far crollare il bianco castello di carte, tutto avverrebbe come una sospensione della volgarità e della routine, per un certo periodo di tempo un albero di neve sosterrebbe il sogno realizzato dell’acqua. Forse sarà un uccello a distruggerlo, o il primo sole del mattino lo spingerà verso il nulla con il suo tiepido dito. Sono esperienze che bisognerebbe tentare per far contenta l’acqua, cosí che torni a riempirci le brocche e i bicchieri con quella debordante allegria che per ora riserva solo ai bambini e ai passerotti.

Julio Cortázar, da Carte inaspettate, Einaudi

Non so come dire, guarda, è terribile questa pioggia.
Piove continuamente, fuori fitto e grigio, qui contro i vetri del balcone a goccioloni grevi e duri, che fanno plaf e si spiaccicano come schiaffi uno dopo l’altro, che noia.
Ecco una gocciolina alta sul riquadro della finestra, vibra un attimo contro il cielo che la scheggia in mille luccichii spenti, cresce si ingrossa barcolla, cadrà non cadrà, non è ancora caduta.
Si afferra con tutte le unghie, non vuole cadere e si vede che si aggrappa con i denti mentre le si gonfia la pancia, è ormai una gocciolona che pende maestosa e, di colpo, zup giù, plaf, disfatta, niente, una viscosità sul marmo.
Ma ci sono quelle che si suicidano e si abbandonano subito, spuntano sul riquadro e di lì si gettano giù; mi pare di vedere la vibrazione del salto, le loro gambette che si staccano e il grido che le ubriaca nel nulla della caduta e dell’annichilimento.
Tristi gocce, rotonde innocenti gocce.
Addio gocce. 

Julio Cortázar, da Historias de Cronopios y de Famas, Storie di cronopios e di famas, Einaudi

* ascoltando El Aplastamiento de las Gotas Julio Cortázar (letta da Julio Cortázar)
https://www.youtube.com/watch?v=R52iNrFKUSw; Litfiba – Goccia a Goccia https://www.youtube.com/watch?v=nNU3Vw0tN0s

Un tiranno

orologio

L’orologio: viene voglia di farne a meno…

“Pensa a questo: quando ti regalano un orologio, ti regalano un piccolo inferno fiorito, una catena di rose, una cella d’aria. Non ti danno soltanto l’orologio, tanti, tanti auguri e speriamo che duri perché è di buona marca, svizzero con àncora di rubini; non ti regalano soltanto questo minuscolo scalpellino che ti legherai al polso e che andrà a spasso con te. Ti regalano – non lo sanno, il terribile è che non lo sanno -, ti regalano un altro frammento fragile e precario di te stesso, qualcosa che è tuo ma che non è il tuo corpo, che devi legare al tuo corpo con il suo cinghino simile a un braccetto disperatamente aggrappato al tuo polso. Ti regalano la necessità di continuare a caricarlo tutti i giorni, l’obbligo di caricarlo se vuoi che continui ad essere un orologio; ti regalano l’ossessione di controllare l’ora esatta nelle vetrine dei gioiellieri, alla radio, al telefono. Ti regalano la paura di perderlo, che te lo rubino, che ti cada per terra e che si rompa. Ti regalano la sua marca, e la certezza che è una marca migliore delle altre, ti regalano la tendenza a fare il confronto fra il tuo orologio e gli altri orologi. Non ti regalano un orologio, sei tu che sei regalato, sei il regalo per il compleanno dell’orologio”.

da Julio Cortázar, Preambolo alle istruzioni per caricare l’orologio da Historias de Cronopios y de Famas, Storie di cronopios e di famas, Einaudi, traduzione di Flaviarosa Nicoletti Rossini

 

L’orologio

L’orologio, il dio sinistro, spaventoso e impassibile,
ci minaccia col dito e dice: Ricordati!
I Dolori vibranti si pianteranno nel tuo cuore
pieno di sgomento come in un bersaglio;

il Piacere vaporoso fuggirà nell’orizzonte
come silfide in fondo al retroscena;
ogni istante ti divora un pezzo di letizia
concessa ad ogni uomo per tutta la sua vita.

Tremilaseicento volte l’ora, il Secondo
mormora: Ricordati! – Rapido con voce
da insetto, l’Adesso dice: Sono l’Allora
e ho succhiato la tua vita con l’immondo succhiatoio!

Prodigo! Ricordati! Remember! Esto memor!
(La mia gola di metallo parla tutte le lingue).
I minuti, mortale pazzerello, sono ganghe
da non farsi sfuggire senza estrarne oro!

Ricordati che il tempo è giocatore avido:
guadagna senza barare, ad ogni colpo! È legge.
Il giorno declina, la notte cresce; ricordati!
L’abisso ha sempre sete; la clessidra si vuota.

Presto suonerà l’ora in cui il divino Caso,
l’augusta Virtù, la tua sposa ancora vergine,
lo stesso Pentimento (oh, l’ultima locanda!),
ti diranno: Muori, vecchio vile! È troppo tardi!

Charles Baudelaire, Spleen e ideale ne I fiori del male, traduzione di Claudio Rendina

* ascoltando Time – Pink Floyd

 

Le altre vite

C’è un incontro fissato,
ancora senza ora e senza data,
per trovarci,
io sarò lì, puntuale,
non so tu. (Julio Cortazàr)

 A me par, vivendo questa mia
Povera vita, un’altra rasentarne
Come nel sonno, e che quel sonno sia
La mia vita presente. (Camillo Sbarbaro)

 giostra

 

Le altre vite. Quelle precedenti, quelle future, quelle intraviste, quelle non cercate. Le altre.

 

Di nuovo gli astri d’amore traversano
lucidi sulle nostre teste opache
là dove noi scendiamo inconsapevoli
su opposte rive. E appare naturale
non averti veduta mai né udita
ed affliggerti in una luce antica.

Desiderio o rimpianto? Desiderio
e rimpianto, una sola febbre amara.
Raggiava nel cristallo un vino astrale,
un sole fuso che bevevi a sorsi
e fissavi la dura cecità del paesaggio.

Mario Luzi, da Quaderno gotico, Firenze, 1947

 

Questa catena di ferro
che tanto pesa, è leggera
a portarsi e non la sento.
C’è un’altra catena fatta
di onde, di terre e di venti,
di risate e di sospiri,
che mi lega non so dove,
mi soggioga a quel padrone
sconosciuto, a quel padrone…

Pedro Salinas, da Presagi, Passigli Editori, Traduzione di Valerio Nardon.

 

*In musica:  Un’altra vita – Paolo Conte; Il dono del cervo – Angelo Branduardi

Lettere, scarabocchi, canzoni

 tiscrivo

Poesie che raccontano l’atto di scrivere (anche solo col pensiero) a qualcuno: struggimento doppio, un 2×1 per le emozioni decisamente vantaggioso (o svantaggioso: dipende se abbiamo voglia di commuoverci).

Blues for Maggie

Vedi

niente è serio e degno di essere ascoltato,
ci siamo fatti giocando tutto il male necessario

vedi, non è una lettera, questa,

ci siamo dati quel miele della notte, il caffè,
il piacere prono, le sigarette torbide
quando nel soffitto trema la luce dell’alba,

vedi
io continuo a pensare a te,
non ti scrivo, d’improvviso guardo il cielo, quella
nuvola di passaggio
e forse tu nel tuo lungomare guarderai una nuvola
e quella è la mia lettera, qualcosa che scorre indecifrabile
e pioggia.

Ci siamo fatti giocando tutto il male necessario
il tempo deposita il resto, i piccoli orsi
dormono accanto a uno scoiattolo sfrondato.

Julio Cortázar, da Poesie, in Carte inaspettate, Einaudi, 2009, traduzione di Jaime Riera Reheren.

 

Scarabocchio

Con un pezzo di carbone
con il mio gesso rotto e la mia matita rossa
disegnare il tuo nome
il nome della tua bocca
il segno delle tue gambe
sulla parete di nessuno
Sulla porta proibita
incidere il nome del tuo corpo
finché il filo del mio coltello
sanguini
e la pietra gridi
e il muro respiri come un petto.

Octavio Paz, da Salamandra (1958-1961), in Il fuoco di ogni giorno, traduzione di Ernesto Franco.

 

Lettera dal balcone

Ti scrivo dal balcone
dove resto ancora un poco questa sera
a guardare l’orto al sole di settembre
a mangiare pane e olio e foglie piccole di basilico
ti scrivo meno fiera di quello che vorresti
sono una donna forte sì
ma con anche continue tentazioni di non esserlo
di lasciarmi sciogliere d’amore al sole
e carezzarti e baciarti un po’ più di quello che tu vuoi
ti scrivo dal balcone
guardando il fico pieno di frutti
e il pero con le foglie malate
ho qualche pensiero triste
e due o tre sereni.

Vivian Lamarque, da Poesie 1972-2002.

* Quando le parole sono affidate a una canzone: Vasco Rossi – Una canzone per te; Jim Croce – I’ll Have to Say I Love You In A Song; Lucio Dalla – Canzone.

“Un bacio, insomma, che cos’è mai un bacio?”

“E c’è una sola saliva e un solo sapore di frutta matura, e io ti sento tremare stretta a me come una luna nell’acqua.” Julio Cortázar

 bacio-hotel-de-ville

Un bacio, insomma, che cos’è mai un bacio?” si chiede Cyrano. E tanti altri si sono posti la stessa domanda. Tra le mille definizioni di bacio che la letteratura ci regala, ne riporto una,  pacata e lucida, che trovo molto vera: “I baci non sono anticipo d’altre tenerezze, sono il punto più alto” (lo scrive Erri De Luca nel libro Il contrario di uno).

 

Prolungamento di un bacio

Ieri ti ho baciato sulle labbra.
Ti ho baciato sulle labbra. Intense,
rosse. Un bacio così corto
durato più di un lampo,
di un miracolo, più ancora.
Il tempo
dopo averti baciato
non valeva più a nulla
ormai, a nulla
era valso prima.
Nel bacio il suo inizio e la sua fine.

Oggi sto baciando un bacio;
non solo con le mie labbra.
Le poso
non sulla bocca, no, non più
– dov’è fuggita? –
Le poso
sul bacio che ieri ti ho dato
sulle bocche unite
dal bacio che hanno baciato.
E dura questo bacio
più del silenzio, della luce.
Perché io non bacio ora
né una carne né una bocca
che scappa, che mi sfugge.
No.
Ti sto baciando più lontano.

Pedro Salinas, da La voz a ti debida (La voce a te dovuta).

 

La signora ed i baci

Una signora voleva tanto dargli dei baci,
non dico troppi, anche solo sette, otto mila.
Invece era proibito, perciò non glieli dava.
Se però non fosse stato proibito
glieli avrebbe dati tutti,
dal primo all’ultimo.
A cosa servono i baci se non si danno?

Vivian Lamarque, da Poesia d’amore del Novecento, Milano, Crocetti Editore, 1996.

 

Quando ti bacio

Quando ti bacio
non è solo la tua bocca
non è solo il tuo ombelico
non è solo il tuo grembo
che bacio
io bacio anche le tue domande
e i tuoi desideri
bacio il tuo riflettere
i tuoi dubbi
e il tuo coraggio
il tuo amore per me
e la tua libertà da me
il tuo piede che è giunto qui
e che di nuovo se ne va
io bacio te
così come sei
e come sarai
domani e oltre
e quando il mio tempo sarà trascorso.

Erich Fried, traduzione di Riccarda Novello.

 

*Qualche bacio nelle canzoni: Carmen Consoli – L’ultimo bacio; Elisa – L’anima vola; Bruce Springsteen Then She Kissed Me.