Comunque

VENUS FLORENCE – TVBOY copia

Street art by Tvboy (Salvatore Benintende), “Hipster Venus in Florence“, Firenze

“Comunque” è un avverbio che sa consolare (a prima lettura, almeno): ci parla di qualcosa che era (comunque) inevitabile, ci toglie un po’ di responsabilità (solo un po’). Vabbè, a pensarci bene  non consola poi così tanto, però è una parola simpatica. O no?

 

Tanto ti avrei comunque incontrata forse al metrò
forse nell’androne di un palazzo forse t’avrei soltanto definita

per approssimazione e deliri
e sogni leggeri come l’andamento svagato e lento di una piuma

tanto t’avrei sicuramente perduta prima o poi
per colpa tua o mia
o anche del vento di settembre che asciuga grappoli e desideri

tanto t’avrei ripresa
prima o poi
un giorno o l’altro
con il sapore che c’è nelle cose
nel cuore che pulsa, per esempio,
e negli occhi che incontrano gli occhi t’avrei ripresa, lo giuro,

in uno sbadiglio
per un battito di ciglia

Emilio Piccolo (Acerra, 1951 -2012), fonte:  Vico Acitillo 124 – Poetry Wave http://www.vicoacitillo.it/emilio/Fiori.html

To be continued

lost

La poesia qui sotto e il testo della canzone in sottofondo sembrano  raccontare la stessa storia  (da due punti di vista differenti).  Ma il finale di questa storia rimane aperto: per scriverlo ognuno potrà seguire la propria fantasia…

 

Ma dove, ma quando

Ti ho attesa da sempre

eri nel volto di ogni donna
all’angolo di ogni via
eri la sabbia che brucia la pelle
il vento d’aprile
la pioggia dell’ultimo dell’anno
eri nei libri che ho comprato
nei surgelati dei tempi neri
nelle case che ho attraversato
nelle cose che ho scritto
e che ho strappato

eri con me all’osteria e al supermarket
nei giorni che la vita se ne andava
e in quelli che, come il mare, tornava
eri la luna
una sonata per piano di schumann
un occhio di lince
la posidonia che tenera s’avvinghia
le albe che venivano dopo l’insonnia

eri sempre là dove t’aspettavo
eri la pelle di cui non si può fare a meno
eri nelle cose e dentro di me

ti ho attesa da sempre

Emilio Piccolo (Acerra, 1951-2012), da Beatrice – My Heart Is Full Of Troubles, Dedalus, 1999

 

“Lei non lo sapeva ma aspettava un Uomo
Che la scuotesse proprio come un tuono
Che la calmasse come un perdono
Che la possedesse e fosse anche un dono

Era tanto tempo che aspettava l’Uomo
Che la ipnotizzasse solo con il suono
Di quella sua voce dolce e impertinente
Che proprio non ci poteva fare niente (…)”

La conclusione scrivetela voi

7

La poesia qui sotto termina con alcune parole che ho volutamente omesso: lascio che ognuno metta le parole che vorrebbe dire a qualcun altro o anche semplicemente a sé stesso (perché le parole pronunciate sono un po’ più incisive del semplice pensiero – anzi, a volte sarebbe bene scriverle, certe parole, e attaccarle al frigorifero per rileggersele spesso). Saranno parole diverse a seconda delle situazioni, ma qualcosa da dire ci sarà di sicuro.

Come se fosse un libro

Se fosse davvero così semplice
attrezzarsi il mondo come se fosse un terrazzo
con piante e fiori da spostare da un angolo all’altro
tanto per fare qualcosa
perché è domenica e si deve, comunque, vivere
perché meglio tutto che le intermittenze crudeli del cuore
che ci lasciano senza difesa a chiederci dove andiamo
e se ne valga dopotutto la pena
attrezzarsi il mondo come se fosse un terrazzo
dove anche le cose lasciate in disordine
hanno l’ordine che vogliamo per loro
così docili così refrattarie a movimenti e oscillazioni
che viene voglia di prenderle ad esempio
come se prima o poi un temporale
un vento improvviso venuto su dal
lieve cedimento del pavimento non ci ricordasse
proprio quando meno ce l’aspettiamo
che la domenica e il lunedì e tutti gli altri giorni della settimana
sono l’unica cosa che abbiamo
la nostra parte d’eternità
e la spendiamo così
senza nemmeno confessarci
che a restituircela
è proprio un temporale che vorremmo
o un vento venuto su dal mare
che ci rendesse innocenti
creature senza domenica e lunedì
che attraversano il tempo
con la dolcezza e la gioia
di chi di nulla ha colpa e senso e dolore
se non d’aver fatto delle settimane
e dei mesi e degli anni
il deposito dei propri sogni
se fosse davvero così semplice
attrezzarsi il mondo come se fosse un libro
con le parole il ritmo e lo stile
appreso nelle notti
passate a credere che per essere felici
fosse sufficiente essere poeti
e che la felicità fosse un nostro diritto
e nostro diritto e dovere cercarla
dovunque e comunque
e qualunque fosse il prezzo di dolore
con cui mettersi alla prova
come se ne fossimo sempre più forti
come se soffrendo
potessimo garantirci
che ad attenderci da sempre
ci sia davvero qualcuno
magari un cane
con cui essere fragili insieme
e insieme vivere e insieme morire
per dolori che s’assomigliano
per sogni terribili e crudeli
che ti fanno pulsare la vita tra le mani
come il muscolo di un animale scannato
per domeniche che si devono, comunque, vivere
se fosse davvero così semplice amarsi
non avrei più bisogno delle parole
per dirti (…)

Emilio Piccolo (Acerra, 1951-2012), da Beatrice – My Heart Is Full Of Troubles, Dedalus, 1999

*ascoltando Tangerine Dream – Alchemy of the heart https://www.youtube.com/watch?v=NBeiRu6CquA

Il vestito della festa e la forma del cuore

zut

 

Blue

ieri ho indossato il mio vestito per la festa
ho bevuto fino al termine della notte
ho passato un’ora e trenta minuti
a vedermi con i capelli biondi
ho provato morsi e rimorsi
ho ricordato e mi sono scordato
ho fatto niente e ho fatto tutto
ho preso in prestito i tuoi sogni
mi sono detto che sfortuna
ho provato ad essere curioso
a simulare
a dire il vero
indifferente
tenero
arrabbiato
più che arrabbiato incazzato
pieno di struggimenti
pieno di cose piene
e poi vuoto e di nuovo pieno
e di nuovo vuoto
con il mio vestito per la festa
che devo ancora comprare
e i capelli biondi che non ho
e i rimorsi che son morsi
e le cose che non scordo mai
e i tuoi sogni che sono solo tuoi
e la sfortuna che si prova
ad essere curioso
e a simulare
e a dire la verità
e ad arrabbiarsi senza mai incazzarsi
e a incazzarsi senza mai arrabbiarsi
e a struggersi
e a riempirsi
e a essere vuoto e di nuovo pieno
e di nuovo vuoto e di nuovo pieno
e bla bla bla e bla (pausa)
bla (doppia pausa)
bla

 

°°°

 

Wanderer

così si viaggia nel tempo, amore,
si viaggia da clown
da osti
da professionisti della notte
da esperti di bilancio
e c’è chi si chiede
se davvero c’è qualcosa di nuovo sotto il sole
e chi se questa è l’era della felicità o del dolore
chi crede ai diavoli con la pipa e il doppiopetto
chi adora i cani in concerto
ma tutti viaggiano, amore, come sanno
chi facendo l’autostop
e chi prendendo un aereo
chi se ne va a piedi
e chi non si muove mai dalla propria sedia
ma tutti viaggiano, amore, scavandosi
una tomba con la forma del loro cuore

Poesie tratte da Luther Blissett (eteronimo di Emilio Piccolo, Acerra, 1951-2012), Beatrice – My heart is full of troubles, Dedalus, 1999

*ascoltando Steve Vai – The Crying Machine https://www.youtube.com/watch?v=3t4JxHiRmj0