La pazienza degli oggetti

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Una pazienza che solo gli oggetti possono avere:

Infinita è la pazienza delle cose
adagiate nell’oblio inerte della casa
finché uno sguardo non le rianima
e tornano ad essere – per loro per noi
la forma semplice dei gesti usuali
lo scivolare lento di giorni tutti uguali.

Giovanna Rosadini (Genova, 1963), da Fioriture capovolte, Einaudi, 2018

Trattenere la luce

sguardo

(Trattenere la luce: qualcosa da imparare)

Bisogna insegnare
Al nostro sguardo
A dare luce alla vita
Là dove si allontana
E scolora
A trattenerla
Nelle nostre mani tremanti
Così che la musica della terra
E del vento
Canti
Come una stagione di gioia.

Tahar Ben Jelloun (Fès, Marocco, 1944), da Poesie dipinte (n. 19), in Dolore e luce del mondo, traduzione di Cettina Calò, La nave di Teseo, 2021

 

∞ ascoltando  Glen Hansard – This Gift https://www.youtube.com/watch?v=8ebkce5ukn4

Benvenut*!

impasto per il paneVittoria (anzi, VittoRina), la mia nonna paterna, quando faceva il pane  mi diceva sempre che mentre si impasta bisogna sorridere, così il pane viene meglio. Sarà vero? Non lo so, ma per l’ospite che verrà a pranzo da noi, il pane fatto con le nostre mani sarà comunque perfetto assieme al sorriso con cui lo faremo sentire a casa.

Imparo a guardare
a imprestare lo sguardo
a chi ha urgenza di tana
imparo a ospitare.
Custodisco con cura le parole
poi le silenzio per il suono
di un’altra lingua
per questo sentire nostro
acuto e pugnalante
che non attenua gli urti
lascia il male così com’è
e accoglie tutte le ferite
come cani randagi
con improvvisate ciotole d’acqua
e parole poche smarrite
maldestre. Mani grandi
sorrisi abitabili.
Vivere è ospitare.

Chandra Livia Candiani, da La domanda della sete, Einaudi, 2020

♥ ascoltando Queen – Friends Will Be Friends https://www.youtube.com/watch?v=0AIlz08fZos&t=9s

Occhi negli occhi

 

Amedeo Modigliani, Ritratto di Dédie (1918) olio su tela. Parigi, Musée National d’Art Moderne, Centre Georges Pompidou.

Amedeo Modigliani, Ritratto di Dédie (1918) olio su tela, Parigi, Musée National d’Art Moderne, Centre Georges Pompidou.

(Senza parole: bastano gli occhi)

 

 

Quando tu chiudi gli occhi
le tue palpebre sono aria.
Mi trascinano:
vado con te, dentro.

Non si vede nulla, non
si sente nulla. Superflui
gli occhi e le labbra,
in questo mondo tuo.
Per sentire te
non valgono
i sensi consueti,
che si usano con gli altri.
Bisogna attenderne di nuovi.
Si cammina al tuo fianco
sordamente, al buio,
inciampando nei forse,
nelle attese; sprofondando
verso l’alto
con gran peso di ali.

Quando tu riapri gli occhi
io torno fuori,
ormai cieco,
inciampando ancora,
senza vedere, nemmeno, qui.
Senza sapere piú vivere
né in quell’altro, nel tuo,
né in questo
mondo scolorito
dove io vivevo.
Incapace, indifeso
fra l’uno e l’altro.
Andando, venendo
dall’uno all’altro
quando tu vuoi,
quando apri, quando chiudi
le palpebre, gli occhi.

Pedro Salinas, da La voce a te dovuta, Torino, Einaudi 1979, traduzione di Emma Scoles

  • ascoltando Pomplamoose ft. The Vignes Rooftop Revival  – Les Yeux Noirs (cover della versione di Django Reinhardt; Oči čёrnye è il titolo in lingua russa, da pronunciare Oci ciornie) è una poesia del poeta ucraino Èvgen Pavlovič Hrebinka, poi musicata e divenuta una canzone popolare russa)  https://www.youtube.com/watch?v=gfiqW1WaGbw