Vivente si arrende

Certi rompicapi (tipo la vita, per fare un esempio) sono così difficili: si annaspa nei tentativi… e poi?

***

 

Vivente vorrebbe prepararsi

Vivente vorrebbe prepararsi. A che cosa.
Oh. La beffa sarà imponente.
Averci pensato prima. Dirà al momento.
Quando il momento sarà un adesso.

Finire. Vivente prova a incitarsi.
Ma succede che su quel palco troppo esteso
le parole subito si tagliano in dettagli.
Imbrogli. Facile perdersi di vista.

Si va verso la conclusione risaputa
senza sapersi. Questa è la beffa.
Riparti. Preparati. Vivente si incoraggia
annaspando. I toni ancora sempre discordi.

Intanto la luce indica che il giorno comincia.
Si può finire davanti a tanto inizio?
La domanda si dilunga. Insegue. Così accecante.
Vivente le sorride. Si arrende.

Piera Oppezzo, da Una lucida disperazione, Interlinea, a cura di L. Martinengo

°ascoltando Pink Floyd – On The Run –  https://www.youtube.com/watch?v=2sUyk5zSbhM&t=4s

Un viaggio difficile

(Mi sa che ho perso anche il bagaglio a mano)

 

Non c’è prenotazione
a questo viaggio:
si nasce
prenotati ed è
un continuo
fare e disfare
di valige, controllare
che fra le mani
le carte
siano tutte.

Elisa Biagini, da Filamenti, Einaudi, 2020

°ascoltando Camel – Stationary Traveller https://www.youtube.com/watch?v=YTwyl0VSEHg

Lista delle cose da fare: 13 – continuare a salire la scala

Ma come si sale una scala?

Uno scalino alla volta

(anche se, come in certi brutti sogni, ti sembra impossibile poterlo fare).

***

(…) Per salire una scala si comincia sollevando la parte del corpo situata in basso a destra, avvolta quasi sempre nel cuoio o nella pelle e che, salvo eccezioni, ci sta giusta sullo scalino. Posta sul primo gradino la suddetta parte, che per farla breve chiameremo piede, si raccoglie la parte equivalente del lato sinistro (chiamata anche questa piede, che non deve confondersi però con il piede sopra citato), e alzandola all’altezza del piede si prosegue sino a collocarla sul secondo gradino, in cui defaticherà il piede mentre nel primo riposerà il piede. (I primi gradini sono sempre i più difficili, finché non viene raggiunta la coordinazione necessaria. La coincidenza del nome tra il piede e il piede rende difficile la spiegazione. Allo stesso modo faccia attenzione a non alzare in contemporanea il piede e il piede.)

Arrivato in questo modo al secondo gradino, è sufficiente ripetere in maniera alternata il movimento fino a trovarsi in fondo alla scala. Si esce da questa facilmente, con un leggero colpo di tallone che la fissa al suo posto, da cui non si muoverà fino al momento della discesa. (…)

Julio Cortázar (Ixelles, 1914-1984),  da Storie di cronopios e di famas

°ascoltando Maurice Ravel, Bolerohttps://www.youtube.com/watch?v=r30D3SW4OVw

Lista delle cose da fare: 12 – resistere e risalire

(Ancora una volta. E ancora, e ancora, se serve.)

 

Per quando stai toccando il fondo

Sei sopravvissuto a tutto quello che hai dovuto passare e sopravviverai anche a questo. Rimani qui per la persona che diventerai. Tu sei più di una giornata nera, una settimana nera, un mese, un anno, anche dieci anni neri. Sei un futuro di possibilità multiformi. Sei un altro te stesso, di un tempo a venire, che ripensa con gratitudine a questo te stesso che si era perso, ma non ha mollato. Rimani.

Matt Haig, da Parole di conforto, traduzione di Elisa Banfi, Edizioni e/o, 2021

♥ ascoltando Don’t Give Up (cover di Willie Nelson con Sinéad O’Connor) – https://www.youtube.com/watch?v=gO6fAJcN89k

I pesi invisibili

C’è una frase che capita di leggere spesso e che viene attribuita ogni volta a un autore diverso. Dice così: “Sii gentile: ogni persona che incontri sta combattendo una battaglia di cui non sai niente”. La trovo una frase molto giusta, chiunque ne sia l’autore (e infatti penso che non dovremmo mai permetterci di dire a qualcuno “sei esagerat*!”, o almeno non prima di aver fatto il proverbiale giro nelle sue scarpe).

Ma adesso, che cosa potremmo  offrire come conforto all’autrice di questa poesia, se fosse ancora in vita? Io vorrei  poterle offrire una tazza di calda leggerezza, per  un attimo di riposo da quel suo peso invisibile ma sempre presente.

***

Oggi ho il cuore freddo e azzurro,
gli occhi di foschia
e le mani gelate.

Ah, madre,
come sono stanca,
stanca.
Non ne posso più di questo peso
questo peso cupo
che porto in spalla.

E questi che mi accompagnano
e mi ascoltano
si guardano e si chiedono,
di che peso parla?

Ah madre,
non sai come sono
stanca.

1941

Idea Vilariño (Montevideo, 1920-2009), da Prime poesie, in Di rose che si aprono nell’acqua, Bompiani, 2021, a cura di Laura Pugno

 

Chi viaggia spedito e chi meno

 

camion epoca

Un applauso per gli spediti, ma due per gli incerti. Io la vedo così. E tu?

Voi che andate

Voi che andate sul retto filo
spediti e senza scalfitture.
Voi che andate dritto
non vedete cadere
non vedete salire.
Nulla sapete
delle pietre mal connesse
e meno ancora del verme
che freme tortuoso
sotto ogni passo.
Incerto nel vivere
incerto nel morire.

Raffaele Carrieri, da Fresco sul bruciato, in La giornata è finita, Mondadori, 1963

Lasciare un messaggio dopo il bip

tel cellulare

L’hanno già inventata l’app(licazione) “Capiamoci meglio”?

 

Una parola da capire

I n c o m u n i c a b i l i t à
è una parola buia, pesante,
ma io – e non lo vorrei –
la so guardare
te la so spiegare.
La leggo e mi ricorda
che siamo privi spesso
dell’abilità di comunicare.
Come l’erba di ieri:
era alta
voleva esserlo,
ma è stata falciata,
ha mandato il messaggio sbagliato
non si è spiegata bene
non ha sostenuto lo sguardo
è stata fraintesa

non sapeva comunicare.

Irene Marchi, da La parte in ombra, Ensemble Edizioni, 2018

Il mal comune (degli impedimenti)

barriera

Ognuno ha, o ha avuto in passato, degli impedimenti a fare determinate cose. La bella notizia è, appunto, che siamo in tanti (la brutta sta nella parola impedimenti).

 

Se non fosse

se non fosse che confondo l’aria
con l’acqua  – eppur non sono rana
né sirena –  le alghe a coprire
ogni pensiero e mi perdo – ahimè –
al solo uscir di casa, se non fosse
che inciampo spesso nelle radici
degli alberi e  degli errori
pur se svolazzo a mezz’aria – perché
nata sradicata – e se non fosse
che non esisto se non nel registro
d’anagrafe lì dove son caduta,

t’avrei conosciuto volentieri

©IreneMarchi2021

♣ ascoltando God Is An Astronaut – Shadows https://www.youtube.com/watch?v=CXXwkzB5eoY

Rotolando

dav

Si sente tutta, la stanchezza descritta in questa poesia: ricorda uno di quei sogni in cui vorremmo correre per scappare da qualcosa di terribile, ma sentiamo le gambe immobili. Per fortuna (in questa poesia) un elemento “gentile”  regala una pausa, un intervallo…

Intervallo

Da lontano arriva rotolando una palla
la palla rotola, spinta da un calcio
viene verso di me ma io sono stanca
un bambino la insegue di corsa
chissà se arriverà fin qui
o forse non ce la farà
quasi vorrei che arrivasse
ma se non arriva, forse sarà meglio
a questo punto, la palla rallenta la corsa
si ferma subito prima di raggiungermi
lasciando una fredda ambigua distanza
fra me che la guardo
e il bimbo che la guardava
i tempi non combaciano
ci siamo io il bambino e la palla
breve intervallo di un confronto senza nome
nessun rammarico
l’incredibile gentilezza della palla
breve intervallo di un confronto senza nome
nessun rammarico
l’incredibile gentilezza della palla

(1997)

Masayo Koike (Tokyo, 1959), da Poeti giapponesi, Einaudi, 2020, traduzione di Maria Teresa Orsi e Alessandro Clementi Degli Albizzi

º ascoltando Avishai Cohen – Emotional Storm https://www.youtube.com/watch?v=JURBuEQA1sM

In cerca di luce

 

lux

(Se è ancora buio, prima o poi dovrà finire!)

Luce che va sempre
avanti, io ti prenderò
per mano, sarà subito
più semplice, le cose
e la gente, le parole che sotto la lingua
s’induriscono, tutto
per noi sarà trasparente, luce
che non ha un luogo, ecco ti fermi
e anche il mio male si ferma
e tu mi aspetti.

***

Lumière qui va toujours
devant, je te prendrai
par la main, ce sera soudain
plus simple, les choses
et les gens, les mots qui durcissaient
sous la langue, tout
sera transparent pour nous, lumière
qui n’as pas de lieu, voilà que tu t’arrêtes
et que mon mal
s’arrête aussi et que tu m’attends.

Claude Esteban (Parigi, 1935-2006), da Le jour à peine écrit, poèmes 1967-1992, traduzione di Lucetta Frisa

 

∞ ascoltando If These Trees Could Talk – “The Sun Is In The North” https://www.youtube.com/watch?v=pRnChxsD_wY